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Luce e architettura sostenibile. Parte I

by Silvio De Ponte Conti
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architettura

L’Autore è il fondatore di De Ponte Studio Architects, con sede principale a Milano.

Vorrei impostare questo mio intervento principalmente su due aspetti che ritengo essere molto importanti per un “vivere di qualità” dell’uomo: “Luce e architettura sostenibile”. Pur rendendomi bene conto che il tema affrontato non potrà essere in alcuna maniera completamente esaustivo, vorrei porre alcune basi per una riflessione più generale che, eventualmente, potrebbe dare in seguito il via a maggiori approfondimenti.

Verso una città sostenibile.

Quando parliamo di Circular Economy Now dedicata alla digital transformation, parliamo di valutazioni inerenti l’impatto che la green economy sta avendo sull’architettura e sul design, su come la comunicazione di questi settori stia cambiando proprio in funzione del nuovo “green trend”, nuovo punto di forza da cui partire per far crescere il proprio brand, sia che si tratti di una città e di un edificio – concezione piuttosto innovativa – che di un’azienda produttrice di beni di consumo.

Quando parliamo di città verdi intendiamo non soltanto la presenza di parchi, giardini, alberature e piante presenti nelle nostre città, ma anche quello che concerne la modalità di sviluppo sostenibile dei nuclei urbani e di costruzione degli edifici stessi secondo un modello di economia circolare.

Quello che stiamo vivendo tutti, relativamente al Covid-19, deve far riflettere quanto la fragilità polmonare di chi vive in aree ad alta densità di particolato, sia facilmente assimilabile al contagio. I dati sulle polveri sottili fanno paura e pertanto d’ora in poi nelle città serve un progetto che parta dalla riduzione forte delle auto, della dimensione della sezione stradale e da un deciso passaggio all’elettrico, con incentivi e rottamazioni.

Tutti hanno capito che il verde è un tema importante, i nostri nuclei urbani sono spesso pieni di aree e borghi abbandonati, per cui servirebbe costruire un grande progetto di riqualificazione di paesi e piccoli centri abbandonati da salvare.

In seguito alla pandemia da Covid-19, ad esempio, in Inghilterra si prevede una grande spinta verso l’abbandono delle zone più densamente abitate e questo succederà molto presto anche in Italia. Avendo capito la grande potenzialità che ha il lavoro a distanza, chi ha una seconda casa ci si trasferirà o ci passerà lunghi periodi. Ma questo processo andrà governato: in Italia ci sono 5.800 centri sotto i 5mila abitanti e 2.300 sono in stato di abbandono. Se le 14 aree metropolitane adottassero questi centri, con vantaggi fiscali e incentivi, sarebbe già un buon punto di partenza. In Lombardia c’è a tal proposito una interessante legge, la n. 18 del 26 Novembre 2019, relativa alla rigenerazione urbana, un programma di riqualificazione del territorio – ma anche dei singoli immobili abbandonati – come rimedio al degrado urbano.

Possiamo dire con fermezza che non c’è più una città da espandere pensata secondo le solite logiche di “massimo sfruttamento del suolo e di massimo profitto”, ma è assolutamente necessario ridisegnare – ed ancor prima ripensare – le nostre città. L’Italia è il paese dell’innovazione e dell’intraprendenza, della creatività e della fantasia, ma anche delle competenze e della conoscenza ed è da questi valori che il nostro Paese rinascerà, che tornerà ad essere considerato “Il Bel Paese”.

Siamo nell’epoca della digital transformation, un aspetto culturale che è accelerato dalla condizione attuale, una vera rivoluzione a cui non possiamo più sottrarci e dobbiamo usare queste conoscenze per ricondurle a un uso meno intensivo e molto più umano. Le sfide sull’economia circolare non interessano solo il sistema produttivo e le filiere ad esso collegate, ma in futuro dovranno riguardare sempre di più lo sviluppo degli spazi urbani, degli stili di vita e delle abitudini delle persone. Gli spazi urbani e gli spazi privati di vita saranno sempre di più un campo di sperimentazione per progetti che favoriranno il miglioramento del recupero dei materiali.

Architettura e Design diventano pilastri della transizione verso un modello di economia dove il recupero è parte integrante dello spazio: arredi, ambienti domestici, edifici e interi quartieri hanno bisogno di essere realizzati o adattati all’esigenza dell’economia circolare. La progettazione degli spazi deve tenere conto sempre di più del dialogo tra Architettura e corretta gestione nel recupero e riutilizzo dei Materiali.

In tutto questo ragionamento la Luce diventa materia fondamentale della vita delle persone, una luce etica, sostenibile ma non solo da un punto di vista del risparmio energetico – che è un dato acquisito – ma soprattutto da un punto di vista della sua qualità oltre che quantità, che sia in grado di incidere sulla vita di ognuno di noi e di interagire con la nostra psicologia e con i nostri aspetti emotivi e caratteriali.

Luce Etica e Sostenibile per le città.

Nel progetto dell’illuminazione della città, dei singoli edifici e, più in generale, degli interni è importante delineare il tema del progetto della luce nei suoi tratti culturalmente più evoluti, perché la luce non è solo il prodotto fornito da un impianto, come l’aria condizionata o come il gas combustibile: la luce è un fattore culturale primario del nostro modo di vedere e di vivere l’ambiente costruito in cui abitiamo, lavoriamo, impariamo e ci emozioniamo anche, più frequentemente di quanto può apparire. Per questo è difficile fissare con parametri oggettivi i criteri della sostenibilità di un impianto di illuminazione, specialmente quando si tratta di interventi di illuminazione architettonica degli spazi urbani.

La luce oltre ad essere una forma di energia e di materia, è un valore culturale con svariate possibilità di applicazione ai modi di essere dell’uomo. Essa è comunicazione, linguaggio e, in quanto tale, diventa rivelazione dell’essere quando si pone in termini di relazione inter-comunicativa globale e quando si pone con la capacità di trasmettere i valori dell’emozione e dell’espressione.

Far luce sulla città, sulle periferie, sulle grandi arterie di scorrimento non è solo un problema di illuminotecnica ma, prima di tutto, di comunicazione. Questo vuol dire considerare la luce alla stregua di un vero e proprio medium informativo, al pari del telefono, del tablet, della televisione, del cinema. La luce è comunicazione in senso globale e non solo quando disegna parole e segni nell’oscurità. Di notte è la luce che provvede a distinguere le differenti configurazioni urbane. La luce di notte è per il passante una comunicazione certa: il quartiere di notte sarà malfamato prima di tutto perché buio; il monumento sarà importante solo se verrà illuminato in modo diverso rispetto alla fermata dell’autobus; una festa pubblica sarà rituale solo se offrirà uno spettacolare effetto luce. Chi ha detto che il mondo si divide tra luce e tenebre non conosce il piacere del tramonto o dell’alba, zone di passaggio, luci intermedie bellissime perchè incerte.

L’illuminazione ha una grande influenza sul senso di sicurezza delle persone: la grande sfida che devono affrontare le città è installare un tipo di illuminazione che faccia sentire tutti al sicuro e rassicurati. La qualità della luce è uno dei fattori: non solo la luminosità ma anche la resa cromatica. Migliore è la resa del colore, più sarà facile per i pedoni riconoscere le persone intorno a loro. Le città devono anche tenere in considerazione altri aspetti fondamentali come l’efficienza energetica, una buona qualità della luce, requisiti normativi, durata e manutenzione. Facendo uso della luce a diverse scale d’intervento si può creare un vero ambiente: l’atmosfera particolare di piazze, di passeggiate illuminate con luci radenti e di giardini che creano delle vere e proprie atmosfere emozionali e dove è piacevole stare. In tal modo l’atteggiamento progettuale è completamente diverso da come oggi viene affrontato: il problema non è, quindi, quello di disporre, attraverso calcoli matematici e funzionali, un certo quantitativo di lampioni o di luce sulla strada in virtù di tanti lux da ottenere, ma di vedere la luce come valore qualitativo aggiunto per una migliore qualità ambientale. La luce diventa, quindi, l’architettura stessa, un’architettura di luce che è un tutto unitario con l’ambiente circostante, coinvolta in un tipo di progettazione sicuramente a larga scala che realizza dei segmenti urbani scenografici ed altamente suggestivi.

La luce elettrica, in particolare nata per illuminare case e città, ha acquisito nel tempo una crescente funzione di segnale emotivo nei riti collettivi, nel paesaggio urbano e nello spazio domestico. Difatti è proprio attraverso l’architettura che si arriva ad imprigionare, modulare, simulare e controllare la radiazione luminosa.

L’impatto psico-fisico dell’illuminazione.

Al centro del binomio architettura-luce troviamo l’uomo, come destinatario principale ed è su questo soggetto che dobbiamo soffermarci per poter dare una nuova collocazione al progetto della luce.

La vita si è evoluta sul nostro pianeta in un ambiente scandito dal ritmo giorno-notte, da quello delle fasi lunari e dall’alternarsi delle stagioni. Questi ritmi sono scanditi da sincronizzatori che in parte sono interni all’organismo umano ed in parte sono ambientali.

Il principale “orologio esterno” è, appunto, la luce che ha un forte effetto sul nostro stato fisico e mentale e particolare attenzione va posta nel progetto della luce artificiale che si comporta come un elemento ambientale “inquinante”.

L’errato inserimento di luce artificiale all’interno di un ambiente chiuso (casa, lavoro, spazi pubblici) impedisce la giusta sincronizzazione di alcuni ritmi biologici essenziali, non solo provocando, ad esempio, malumore e sensazioni di malessere e di disagio generale, ma anche impedendo il corretto funzionamento del complesso sistema psico-endocrino-immunologico.

All’interno di un sistema complesso di sintonie fisico-biologiche, da mantenere o da riconquistare, la luce assume un ruolo cruciale: rendendo uguali il giorno e la notte, estate ed inverno, si toglie la percezione di un punto di riferimento biologico essenziale.

Proprio per risolvere questo “virus” artificiale che è in fase di realizzazione avanzata un sistema di illuminazione a luce biologico-dinamica, in grado di mimare molto fedelmente le qualità ed i ritmi della luce diurna, in modo tale da agire pro e non contro, la salute dell’uomo.

Questo sistema è in grado di influire sui livelli ormonali dell’organismo attraverso la variazione di intensità, colore e qualità di illuminamento nel corso del giorno e della notte.

Questo ed altri studi avviati in tutto il mondo mirano a limitare i crescenti danni provocati all’uomo, e alla produttività aziendale, dalla sindrome Sad (triste), sindrome tipicamente invernale causata dalla carenza di luce solare che diventa cronica quando l’ambiente di lavoro è totalmente privo di luce naturale.

Da queste considerazioni è possibile capire che la disciplina illuminotecnica non deve essere pensata come scienza esclusivamente quantitativa, bensì il progetto luce dovrebbe indirizzarsi verso valutazioni di tipo qualitativo, poiché è proprio su di un piano qualitativo che l’interiorità del soggetto e la realtà esterna si incontrano.

Per la sua capacità di plasmare superfici, modellare volumi, strutturare e delimitare spazi, la luce si rivela un mezzo costruttivo molto forte, efficace ed incidente. Ciò risulta verificato anche per il colore, inteso come manifestazione cromatica di una luce che tende a raggiungere la massima intensità, grazie allo sforzo della materia di annullare concretezza e opaca fisicità. L’architettura si confronta con la psicofisica, quindi, anche attraverso il colore. La luminosità di un ambiente non è indipendente dai suoi colori e dalle sue superfici. I colori e le superfici influenzano quindi in modo determinante l’illuminazione di uno spazio, di conseguenza una buona illuminazione non può essere progettata senza considerare le caratteristiche dell’ambiente e soprattutto dei colori presenti in esso.

Progettare la luce non vuol dire soltanto considerare i requisiti quantistici (lux, lumen, watt), che sono il fondamento della disciplina illuminotecnica ma, soprattutto, un progetto di illuminazione deve esprimere valori di qualità percettive, deve rifarsi ad una sorta di ergonomia della visione, che consideri l’intimo rapporto tra uomo e il suo ambiente circostante. Oltre ad una valenza fisica la luce, quindi, ha anche un forte potere emotivo. Essa genera sensazioni spaziali con una forte influenza fisiologica e psicologica tanto da rendere legittima la definizione di “linguaggio luminoso”, una definizione che comprende i fenomeni ottico-visivi capaci di determinare, attraverso la percezione visiva stessa, un rapporto comunicativo fra spazio ed intelletto.

Leggi ora anche “Luce e architettura sostenibile II parte“.