Dopo essere stato presentato con buoni riscontri in anteprima alla 73sima edizione del Festival di Berlino, “L’ultima notte di Amore” è uscito nelle sale italiane lo scorso 9 marzo. Il film è stato diretto da Andrea di Stefano che torna a girare in Italia dopo le convincenti prove internazionali di Escobar con Benicio del Toro e The Informer con Clive Owen. Il ruolo del protagonista è svolto dal bravissimo Pierfrancesco Favino che interpreta Franco Amore, poliziotto che ha lavorato 35 anni a Milano (senza mai sparare a nessuno, ci tiene a ribadire) e che decide di andare finalmente in pensione.
Il film parte proprio da questo momento, dalla festa a sorpresa organizzata dalla moglie Viviana (Linda Caridi). Dopo la lunghissima sequenza inziale di quasi cinque minuti girata in elicottero su una Milano notturna e fluida, ove i caratteri cubitali dei titoli di testa sono accompagnati in sottofondo da respiri affannosi che si tramutano via via in una musica avvolgente ed elettrizzante, la cinepresa si abbassa a scrutare dalle finestre illuminate di un appartamento alla periferia milanese gli ultimi convulsi preparativi della festa di cui il pensionando teoricamente non sospetta. Franco Amore torna a casa apparentemente ignaro. La festa comincia, tutti gli invitati gli fanno gli auguri, anche la figlia di primo letto collegata con una videochiamata. Baci, abbracci, brindisi, l’apertura dei regali e poi arriva una telefonata dalla centrale per un intervento urgente… Stop! Il nastro si riavvolge e la storia ricomincia dieci giorni prima… (ci fermiamo qui per non spoilerare).
In questa disarticolazione della linearità cronologica della rappresentazione degli eventi risiede una delle cose più interessanti del film: un prologo descrittivo ma per niente esplicativo, un antefatto temporale da dove si dipartono poi tutti gli accadimenti della storia in una sorta di reazione a catena incontrollata, fino a gettare nuova luce e nuovi significati sul medesimo prologo. Prologo da cui si riparte con la porzione finale della storia.
Franco Amore è un poliziotto ordinario, quasi burocratico, una brava persona che ha tentato di fare il proprio mestiere senza trionfalismi ed eroismi, badando non tanto a debellare i mali del mondo quanto a fare il proprio dovere e a portare a casa la pelle. Non è un corrotto, ma qualche volta racimola una cinquantina di euro facendo da guardaspalle al cognato che vende orologi di valore, reperiti tramite il fiorente mercato cinese incistato ambiguamente nella realtà borderline meneghina, ai ricchi calciatori delle squadre milanesi. Proprio un mammasantissima cinese, colpito da un infarto e salvato dal nostro protagonista, offre in segno di gratitudine un “tranquillo lavoro” di responsabile della security a Franco Amore che, ingolosito dal facile guadagno e spronato dalla giovane e bella moglie, non riesce a dire di no.
Da qua comincia una traversata in un tunnel di cui ad un certo punto non si intravede più l’uscita. Tunnel metaforico e reale, plasticamente ed efficacemente rappresentato per tutta la parte centrale del film, dove proprio in un sottopasso autostradale sono girate nello specifico appunto le scene più suggestive di tutta la pellicola. Non abbiamo usato questa parola a caso, ma per segnalare che tutto il film è stato girato su pellicola e non in digitale.
Caratteristica questa che ha donato un’avvolgenza ed una profondità alle immagini e dato una peculiarità alle atmosfere che, unite alla colonna sonora particolarmente coinvolgente di Santi Pulvirenti, fanno di “L’ultima notte di Amore” un film che vale pena di andare a vedere (rigorosamente al cinema, mi raccomando!)
Un noir, un polar, anzi uno “spaghetti polar” per usare una definizione poco riuscita dello stesso regista, che si discosta notevolmente dalla produzione media del cinema italiano attuale. Confessiamo che quando abbiamo letto il nome di Favino sulla locandina ci eravamo già preparati al solito comedy-drama, lacrimevole/sociologico/familiare (alla Muccino per intenderci) che ha caratterizzato la sua fortunata storia professionale. Invece no! “L’ultima notte di Amore” è un prodotto di qualità che tiene incollato allo schermo lo spettatore per tutta la durata del film. Un prodotto quasi “americano”, nel senso di alta professionalità cinematografica, dove le eco del magnifico Michael Mann de “La Sfida” (The HEAT con Al Pacino e Robert De Niro), si fondono con la migliore tradizione polizziottesca dei film di Fernando di Leo e noir dei film francesi di Jean-Pierre Melville.
Sguardi, azione, tensione, dialoghi serrati anzi sussurrati con una forte cadenza dialettale (il calabrese della moglie del poliziotto e dei suoi parenti risulta sorprendentemente integrato col plot narrativo del film, cui anzi danno verosimiglianza e veridicità per niente vernacolare), risultano ben strutturati e cadenzati con una sapienza narrativa che può aspirare a mercati internazionali.