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Medicina personalizzata alla Pegaso. Incontro con il professor Minelli

by Redazione
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Lo scorso 14 settembre, presso la sede del Rettorato dell’Università Telematica Pegaso, a Roma, è stato presentato il libro del professore Mauro Minelli, allergologo e immunologo, Presidente del corso di laurea in Scienze motorie della Pegaso, dal titolo “Medicina di precisione – Verso la personalizzazione dei percorsi diagnostici e terapeutici”, edito da Giapeto.

La medicina personalizzata rappresenta una straordinaria evoluzione scientifica e abbiamo voluto saperne di più sulla connessa offerta diagnostica e formativa ponendo qualche domanda al pof. Minelli.

E’ corretto dire che la medicina di precisione è uno strumento per arrivare a una diagnosi personalizzata?

Si, e il mio libro, che rappresenta il punto di arrivo di un lungo percorso di ricerca e di trasferimento dei risultati nella pratica clinica e nelle attività didattiche e formative, illustra ampiamente i principi della medicina personalizzata e la relativa attuazione nell’attività medica quotidiana. In estrema sintesi, la medicina personalizzata vede nella persona, non solo nell’ammalato ma anche nell’individuo sano che vuole evitare appunto di ammalarsi, infinite possibilità di adattamento a specifici interventi, stili di vita, scelte individuali. Questo è il concetto di fondo che la anima. Oggi disponiamo di analisi genomiche specifiche, con la possibilità, importantissima, di evitare la tossicità che deriva dalla sommatoria di effetti collaterali in pazienti, come gli anziani o i soggetti cronici, che assumono più farmaci, definendo il livello di dose adatto per ciascuno, così come di conoscere, altra cosa molto importante, quali sono i meccanismi generatori di patologia di molte sintomatologie che fino ad oggi rientravano in definizioni assai nebulose, per le quali non si riusciva a riconoscere un esatto principio. Dal libro emerge che la medicina personalizzata non è il futuro della medicina, ma è già possibile con i metodi attualmente disponibili.

Si tratta di un’evoluzione scientifica recente.

Diciamo che il percorso, lungo e difficile, è partito nel 2000/2002 dopo i dati sul genoma umano, scontando significative difficoltà tecnologiche. Oggi, molte di quelle difficoltà sono state superate, come quelle sui costi e i tempi di investigazione sul genoma, sulla capacità biochimica, sul dosaggio dei metaboliti. La farmacogenetica ha reso possibile individuare per ciascun paziente il tipo di farmaco giusto, da assumere nella giusta dose e per i tempi giusti. Se due soggetti si ammalano entrambi di raffreddore, è possibile che su uno funzioni un certo tipo di farmaco, a un certo dosaggio, che sull’altro non avrà effetto o, addirittura, potrà essere tossico. Questo è il principio della farmacogenetica che studia le capacità biochimiche e il dosaggio dei metaboliti, cioè di quei derivati dei farmaci grazie ai quali i farmaci stessi possono poi espletare adeguatamente la loro funzione. Così possiamo offrire al clinico pratico quadri sempre più utilizzabili anche dal punto di vista economico, perché i costi si sono decisamente ridotti e di conseguenza il numero di persone che possono usufruire di questi servizi può essere decisamente aumentato.

A che punto siamo in Italia?

Da un lato c’è la sensibilizzazione del mondo oncologico e psichiatrico, che più di tutti si è avvicinato, nel mio libro illustro ampiamente il fenomeno, alla medicina personalizzata. Soprattutto nell’oncologia le reazioni tossiche vengono messe in conto come una sorta di prezzo da pagare e la tossicità dei farmaci psichiatrici è pazzesca e assurda. Nel momento in cui oncologi e psichiatri vengono correttamente informati, si orientano all’utilizzo delle pratiche di precisione e piuttosto che fare cocktail di farmaci, infinitamente tossici e magari inefficaci, definiscono procedimenti più consoni, meno tossici e meno costosi. Più complesso è, invece, il problema del paziente politrattato che riguarda l’ampia fascia di popolazione anziana, dai 65 anni in su. Il medico di base spesso non è quello che ha prescritto i diversi farmaci e, suo malgrado, è costretto ad ascoltare le difficoltà del paziente, le sue lamentele, ad operare gli aggiustamenti di posologia, di terapia e via dicendo. In questi casi, diventa il più grande alleato della medicina personalizzata. Ma è indispensabile ridimensionare i rimborsi delle analisi molecolari, perché sono basati su costi di prima del 2000, infinitamente alti, per cui il medico di base trova sul suo prontuario che questi esami sono costosissimi e, siccome ha un suo budget oltre il quale non può andare, non li prescrive, pur sapendo quanto siano utili. E’ una situazione assurda. Le valutazioni dei rimborsi non tengono infatti conto che oggi i costi per queste analisi sono diminuiti moltissimo. Bisogna democratizzare l’accesso alle analisi molecolari. Non è possibile che un’analisi di farmacogenetica, che ha un’utilità straordinaria perché consente di abbattere il numero di prescrizioni, di farmaci, di ricoveri per tossicità, non sia possibile perché troppo costosa senza motivo. Poi, è necessario informare i medici e mettere a loro disposizione le tante banche dati ormai esistenti, per offrirgli le opportune risposte di ottimizzazione delle strategie terapeutiche.

In questo quadro, come opera la Fondazione di Medicina Personalizzata?

Attraverso interventi informativi e formativi e con azioni di sensibilizzazione sui decisori, anche politici, nell’ambito sanitario. La medicina personalizzata è molto trasversale, nel senso che non interpella soltanto l’oncologo piuttosto che lo psichiatra, ma anche il cardiologo, l’internista, l’immunologo, il geriatra e chiunque faccia medicina clinica, e non è ancora entrata realmente nelle dinamiche operative del sistema.

Lei presiede il corso di laurea in Scienze motorie dell’Università Telematica Pegaso. Ce ne parla?

Un corso che si è arricchito di un ulteriore, nuovo elemento, quello biosanitario, improntato proprio sulle dinamiche della personalizzazione dei percorsi atletici e nutrizionali. La medicina personalizzata, infatti, non fa riferimento soltanto ai farmaci, ma anche all’alimentazione. Un aspetto importantissimo è la cosiddetta nutrigenetica. Io posso mangiare tutto? L’alimentazione è uno dei fattori più in grado di interagire con il genoma umano e quindi una nutrizione non congrua rispetto alle caratteristiche genetiche del soggetto può provocare danni all’organismo e spostare l’equilibrio corretto tra salute e malattia. Le conoscenze semplici del nostro genoma ci possono aiutare anche a realizzare una dieta la più aderente possibile alle caratteristiche genotipiche del soggetto.

Argomenti del corso di laurea?

Certo. Soprattutto perché riferiti agli sportivi. Si capisce quanto sia importante dal punto di vista delle attività performanti del soggetto creare profili alimentari personalizzati. Una delle materie del corso si chiama “Nutrigenetica e alimentazione personalizzata nello sport”. Un’attitudine particolare a rendere ancora più personalizzato lo schema alimentare, nutrizionale, integrativo, perché ci sono anche gli integratori specifici, e quindi insegnare allo studente in scienze motorie che perfezionando un determinato tipo di aspetto nutrizionale lo sportivo diventa molto più performante.

L’insegnamento telematico offre specifiche opportunità didattiche?

Le opportunità ci sono e come. L’esplicitazione concettuale in via telematica del procedimento descritto è assolutamente idonea ed anzi i percorsi teorici che portano a una scelta nutrizionale specifica e personalizzata possono essere discussi nei forum realizzati con i docenti proprio per puntualizzare ulteriormente il quadro. Anzi, nel nuovo corso di laurea in scienze motorie che abilita alla preparazione di quanti si avviano all’attività sportiva, sia agonistica che amatoriale, ma anche di chi, non in perfette condizioni di salute, voglia praticare lo sport per sentirsi meglio, è inserito uno specifico insegnamento relativo alla pratica sportiva nelle malattie infiammatorie croniche articolari, intestinali, cardiologiche, cardiovascolari, ecc. Vi si apprende a dosare adeguatamente la tipologia di sport da somministrare al soggetto e anche la quantità, la durata, la frequenza. Altro aspetto molto importante, che sta emergendo prepotentemente, è quello dell’analisi del microbiota intestinale nello sportivo. Esistono evidenze scientifiche importantissime che individuano nella buona composizione del microbiota intestinale un supporto straordinario per consentire al paziente di performare al meglio le proprie attività. Una flora batterica ammalata, non simbiotica con il soggetto, può incidere pesantemente sugli stati infiammatori che coinvolgono l’ambito articolare, muscolare, di rendimento anche psicofisico. Esiste materia specifica che definisce esattamente i percorsi di normalizzazione di un microbiota alterato. Alla Pegaso, stiamo avviando, primi in Italia, un master dedicato che studia le caratteristiche del microbiota intestinale e mette a disposizione gli strumenti di una start up innovativa che, sempre come Pegaso, stiamo realizzando, per conoscere attraverso indagini informatizzate la personalizzazione dei percorsi di normalizzazione delle cosiddette disbiosi intestinali, cioè delle alterazioni della flora batterica.

Il corso sta avendo successo?

Assolutamente, si. Notiamo grande attenzione verso questa novità, unica in Italia. I nostri docenti hanno una notevole esperienza, spesso maturata all’estero. Sono biotecnologi che hanno approfondito la genetica, l’epigenetica, i fattori ambientali di varia natura e via dicendo, grazie anche ai quali offriamo un palinsesto completo avendo aggiunto al corso di laurea tradizionale in scienze motorie questo indirizzo che sta andando molto forte. Coinvolge biologi che vogliono ampliare alle scienze motorie la loro competenza; persone che si occupano a vario titolo di impianti sportivi; laureati in ambito sanitario, penso ad esempio alle scienze infermieristiche. E’ un settore trasversale, molto ampio che ovviamente non darà, deve essere ben inteso, al laureato in scienze motorie la possibilità di prescrizioni cliniche, ma gli trasferisce robusti fondamenti di ordine biosanitario e biomedico. Penso, tra l’altro, alla teoria tecnica e didattica del primo soccorso. Non è possibile che un soggetto che si promuove come personal trainer, personal coach, trainer di gruppi sportivi non abbia i rudimenti di un minimo di attività di soccorso. Ovviamente non per grandi patologie, ma magari per un trauma o eventi analoghi che possano intervenire.

Una sfida importante, alla quale la gente sta rispondendo con grande attenzione.

di Redazione