Il trasporto locale nelle città è diventato una delle frontiere per misurare il cambiamento e la qualità della vita. La contabilità del tempo che sprechiamo per gli spostamenti nelle nostre metropoli è impietosa. In Italia, in media, gli automobilisti spendono in un anno circa 5 giorni e 13 ore nelle strade congestionate durante le ore di punta.
Da dodici anni viene pubblicato lo studio di TomTom sul traffico nelle principali città nel mondo, e quindi anche in Italia. Coprendo 390 città in 56 paesi in tutti i continenti, il TomTom Traffic Index misura le città di tutto il mondo in base al tempo di viaggio, ai costi del carburante e alle emissioni di CO2.
A Milano nel 2022 10 chilometri si percorrono in 27 minuti e mezzo ed i milanesi passano 259 ore all’anno nel traffico (quasi 11 giorni), a Roma in 25 minuti a 40 secondi con 233 ore nel traffico (quasi 10 giorni), a Napoli in 17 minuti e 10 secondi, con 164 ore nel traffico (quasi sette giorni).
Ma non è solo questione di congestione. Anche i costi della mobilità privata, per effetto della crescita dei prezzi delle materie prime, incidono sui processi di trasformazione in corso. I conducenti di veicoli a benzina in tutta Europa hanno registrato un aumento dei costi pari al 22% per un viaggio di 10 km all’interno della città. Per i conducenti diesel l’aumento è stato pari al 40%. I conducenti di benzina e diesel hanno pagato una media di 1.308 euro e di 1.302 euro, rispettivamente, sulla base di 10.000 km di guida all’anno.
Servirebbe dunque invertire la tendenza al dominio della mobilità privata negli spostamenti all’interno delle città, sia per migliorare la nostra qualità di vita sia per modificare un impatto sull’ambiente che è molto rilevante, considerato che un quarto delle emissioni alla base del deterioramento climatico dipende proprio dai trasporti.
Sono queste le ragioni che dovrebbero indurci a porre il tema della mobilità collettiva al centro della agenda nel governo delle nostre città. E invece questa consapevolezza tarda a venire, sostanzialmente per effetto di un dualismo duro a morire. Da un lato il trasporto privato resta al centro dei nostri comportamenti dominanti, mentre dall’altro il trasporto pubblico rimane la ridotta di interessi che mettono al centro il produttore rispetto al consumatore.
Si tratta di una delle frontiere di arretratezza alla base del declino del nostro Paese. Quando il consumatore viene considerato l’ostaggio di una dimensione produttiva chiusa su se stessa, inevitabilmente il consumatore stesso effettua altre scelte, che poi si ritorcono sulla sua stessa organizzazione di vita, incidendo sulla congestione e sul costo della mobilità.
Il trasporto pubblico locale nazionale è in una grave crisi di lungo periodo, soprattutto nelle regioni meridionali. Realizza lentamente gli investimenti di adeguamento della capacità produttiva, presenta indicatori di bassa produttività, offre un servizio del tutto inadeguato, rifugge dalla applicazione di regole di concorrenza per il mercato, che pure sono state decise dall’Europa da un trentennio.
Mentre tutto attorno a noi sta cambiando, le aziende del trasporto pubblico restano prigioniere di una logica estranea al mercato, ed alle esigenze contemporanee della società. Un tempo si usava una espressione, che resta ancora in qualche modo di innegabile attualità: “La ferrovia ai ferrovieri”. Con il tempo il trasporto pubblico locale è diventato la ridotta della politica territoriale e del sindacato rampantista.
Le aziende si sono rattrappite in una configurazione organizzativa che difende un assetto inadeguato rispetto alla potenziale domanda della clientela nella mobilità locale. Prendiamo la questione dell’offerta: nei passati decenni c’era da garantire sostanzialmente la mobilità sistematica dei pendolari e degli studenti, il resto era marginale. Intanto gli spostamenti sono cambiati, si sono diversificati nella motivazione, nelle fasce orarie, nei flussi all’interno dell’anno.
Le città italiane, e quelle meridionali in particolare, vedono una presenza consistente di turisti, anche nei mesi estivi, e quindi la rarefazione dei servizi da fine giugno a settembre genera un vuoto di offerta che genera perdita di opportunità. Le stesse vacanze degli italiani non sono più concentrate nelle settimane di agosto, ed anche per questa ragione la rarefazione dell’offerta di trasporto pubblico non è più coerente con i comportamenti dei potenziali clienti. I turisti cominciano ad essere presenti poi in modo consistente anche durante tutto l’anno, generando una domanda di mobilità che va presa in considerazione.
Insomma, c’è una rivoluzione da compiere. Il trasporto privato nelle città diventa sempre più costoso, non solo in termini monetari ma anche in termini di costi esterni, a cominciare dalla congestione. Le aziende di trasporto pubblico locale debbono recuperare la propria dimensione imprenditoriale, uscendo dal mercato politico e sindacale che oggi rappresenta il principale core business, per guardare in faccia alle opportunità che derivano dal cambiamento epocale che le nostre metropoli affronteranno nei prossimi anni. Il conservatorismo che vive sotto l’ala del protezionismo istituzionale rischia di fare molto male al nostro futuro.