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Morire di freddo nella città più ricca d’Italia

by Luca Rampazzo
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Aveva 64 anni l’ultima vittima del freddo a Milano. Era disabile. In una notte fredda a Molino Dorino si è addormentato senza più svegliarsi. L’emergenza è ciclica, ma pare invincibile. Facciamo una ricognizione, usando i dati della commissione Sociale del Comune. Attualmente a Milano ci sono 2686 posti letto. Nel conto rientrano tutti quelli dove il pubblico ha una qualche parte: quindi sia quelli del Comune che quelli vincitori di bando. Sono abbastanza? Non lo sappiamo. Nell’era dei dati, non sapere è difficile da accettare, per cui si stima. Ma queste stime lasciano il tempo che trovano. Di sicuro la gente muore, ma i dormitori non sono pieni. E questo deve farci riflettere.

Deve farci riflettere, perché i fondi investiti sono stati importanti: 4 milioni di euro l’anno. Il 150% in più di due anni fa, quando erano 1,6 milioni. Eppure, 500 soggetti, si stima, cadono fuori dalla rete. Sala punta sul dialogo. “Abbiamo ancora centinaia di posti letto liberi nei nostri centri. Negli ultimi anni siamo passati da 1.200 a 2.600 posti letto disponibili. È chiaro che alcuni senzatetto preferiscono stare per strada e noi non li possiamo forzare. Ho chiesto ai miei di intensificare il dialogo e chiederò alla polizia locale di fare tutto il possibile. Ma a volte è più facile ascoltare il singolo passante che il vigile in divisa”.

È incontestabile che tutti si debba dare una mano, ma resta un problema. Come si vive, realmente, dentro quei dormitori? Esistono due opinioni contrapposte. Una dice che, tutto considerato, si sta bene. Le cause dell’abbandono e della scelta di dormire in strada sarebbero da ricercare in motivazioni personali o nel rifiuto di rispettare le regole. La seconda dice che in un mondo in cui il 72% degli ospiti è straniero, si sono organizzate bande che minacciano, derubano e picchiano gli Italiani. Questa seconda scuola di pensiero è sostenuta soprattutto da Fratelli d’Italia.

Ad oggi non esiste una risposta che faccia premio sull’altra. Secondo le associazioni di settore manca un milione di euro per coprire completamente il numero di posti letto necessari. Anche se non è dato capire come sia possibile che si muoia letteralmente di freddo con letti ancora liberi. Forse il denaro in più, che certamente aiuterebbe, andrebbe speso in una grande operazione di censimento del disagio. Non delle persone (per quanto non vi sarebbe nulla di male, sappiamo anche troppo bene quanto queste proposte dividano). Ma del disagio sì.

L’obiettivo sarebbe adeguare i rifugi alle persone e smettere di credere che il contrario funzioni. Non si diventa clochard dalla mattina alla sera. Di solito è una lenta discesa nell’inferno della strada e dell’invisibilità. Discesa spesso accompagnata da alcol, droghe o gravi e non curati problemi mentali. I rifugi non possono essere solo dei muri riscaldati con dei letti, se vogliamo accompagnare al sicuro queste persone vulnerabili.

E qui, purtroppo, si incontra una grande debolezza della grande Milano. Tutto ciò che non si può contare, che non si racconta coi numeri, è vissuto come alieno. Lanciamo soldi contro i problemi, sperando spariscano. A volte succede. A volte no. Questa volta, pare non stia succedendo. I letti vuoti nei rifugi ed i sottopassaggi pieni di tende alla stazione Centrale fanno pensare che, forse, ci voglia anche un po’ di umanità in più.