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Operazione Lega Italia

by Luca Rampazzo
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Tutti felici, all’uscita di Arcore. Meno di una volta, quando le cene e l’eleganza si coniugavano. Ma comunque tutti sorridenti. L’accordo sulle regionali è vicino. E prevede una sostanziale accoglienza delle richieste di tutti. Ovvero, di principio, che dal Po in giù Fratelli d’Italia e Forza Italia faranno incetta di governatori. In particolare, Giorgia Meloni, pare dall’analisi delle voci di corridoio, ha accettato con un divertito stupore l’assenza di barricate su Toscana e Marche. Oltre al ritiro delle obiezioni più pesanti sul nome di Fitto per la Puglia. Sarebbe stata una gradita sorpresa, incartata come regalo per la rottura del limite psicologico del 10% nei sondaggi. Eppure, qualche vecchia volpe del suo partito avrebbe guardato scettica a questo cadeaux. Dall’ominosa forma di cavallo.

In Calabria le corse clandestine danno in rialzo le quotazioni di Abramo, sindaco di Catanzaro, rispetto ai fratelli Occhiuto. A cui la vicinanza con Mara Carfagna e le inchieste non hanno ovviamente fatto bene. Cosa succederà alla fine non è ancora stabilito, ma l’ottimismo potrebbe giocare proprio su un cambio interno a Forza Italia. Questo sbloccherebbe la candidatura di Caldoro in Campania, che supererebbe il veto legato alla precedente sconfitta grazie ad una riconosciuta capacità amministrativa. Cosa che al momento in casa centrodestra non pare proprio abbondare.

Un passo a lato. Il 21 dicembre muore la Lega Nord. Il vecchio e glorioso bastione del Nord chiude baracca e burattini e cambia definitivamente pelle. Bossi si è detto contrario. E forse non solo per ragioni di cuore. Nelle redazioni dei giornali si dà per scontato che questo sia il suo avviso di pensionamento. Ma non ci si concentra abbastanza sul dopo. Eppure, ci sono segnali di qualcosa di nuovo e rivoluzionario. Due giorni fa è trapelata la notizia che i figli di Berlusconi, per risparmiare al padre l’onta di una disfatta, starebbero trattando con Salvini il transito di una pattuglia di fedelissimi sotto la spada di Alberto da Giussano.

Chi conosca le vicende politiche sa che la cosa, che ciclicamente riemerge, è irrealizzabile. Significherebbe mettersi alla mercé degli umori leghisti per ogni cosa. Senza garanzie. Senza futuro. E dal lato di Berlusconi significherebbe perdere pure gli ultimi trenta fedelissimi, che diverrebbero più Salviniani di Salvini nell’arco di due giorni. Il Cavaliere dei suoi si fida, per carità. Ma è assai improbabile che questa fedeltà superi l’inganno della cadrega. Quindi questa opzione non ha senso. Eppure, perché continua a riemergere? Perché esiste un’altra possibilità. Ovvero che il 21 dicembre sia il nuovo predellino.

Forza Italia sta venendo sistematicamente mangiata da Fratelli d’Italia. È un costante smottamento di componenti singole. Consiglieri di tutti i livelli in fuga. Questo ha creato una certa tensione ed una punta di rancore in molti livelli del partito. Verso la Lega questo passaggio è molto meno pronunciato. A parte il caso di Silvia Sardone, si potrebbe dire pressoché inesistente. Questo deporrebbe a favore di una ipotesi al momento solo sussurrata, ma che domani potrebbe divenire realtà: nel congresso del 21 la Lega presenterà uno statuto che consente la federazione di altri movimenti. Apre le porte, e tutta FI si trova risucchiata dentro. Per fare la forza responsabile dentro il corpaccione movimentista. Verrebbe da fare un paragone coi monarchici durante il fascismo, ma eviteremo.

I vantaggi per Salvini sarebbero molteplici. A Sud lui funziona, il suo movimento no. È già inciampato più volte (Riace ne è l’esempio migliore). Serve una classe dirigente che, però, viene tenuta lontana dai primi attivisti che ormai hanno una rendita di posizione. E che non sono facilmente accantonabili. Forza Italia ha la cultura di governo, ma non ha i voti. Salvini ha i voti, ma non sa amministrare. Il matrimonio è chiamato. Al Nord, a Berlusconi bastano alcuni seggi chiave. La forma tradizionale della Lega darebbe ampie garanzie di protezione ai neoentrati: i congressi ci sarebbero davvero. Ma l’ultima parola spetterebbe al centro. Un centro che all’ex azionista forte della coalizione oggi manca.

Questa operazione avrebbe, poi, il vantaggio di depotenziare o eliminare direttamente l’ultima spina nel fianco del Cavaliere: Mara Carfagna. Che in questo scenario sarebbe costretta ad una avventura solitaria con pochissimo tempo ed altissime chance di disastro. Toti verrebbe federato e dimenticato in Liguria. Nell’arco di un quinquennio i barbari conquistatori sarebbero conquistati dal conquistato. E tutti vivrebbero felici e contenti. Con il bonus aggiunto del fatto che la Meloni sarebbe totalmente circondata ed emarginata. Una nota a piè di pagina della coalizione. E probabilmente ridimensionata pure nei voti. Questa, almeno la teoria.

Ovviamente Tajani smentisce. Ci mancherebbe. Ma senza voler essere grevi, esistono no che la bocca difende ma gli occhi tradiscono. Questo potrebbe essere uno di questi. D’altronde la trattativa è ancora acerba, manca il passaggio congressuale Leghista per essere reale. In ogni caso un passo avanti sarebbe stato fatto.

Ecco perché i sorrisi di tutti alla fine del vertice. Uno stallo alla messicana si è trasformato in plotone di esecuzione dentro quella villa di Arcore. Ovviamente la situazione è fluida e tutto potrebbe cambiare. Ma di sicuro lo stato di salute precario del governo e l’ipotesi di una legge elettorale totalmente proporzionale a piccoli collegi (o con alto sbarramento) spingono con forza verso questa direzione. È il vento della storia. Ed il vento, in generale, non è mai stato particolarmente generoso coi gabbiani.