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Napoli, la modernizzazione incompiuta

by Luigi Gravagnuolo
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Aleggiava lo spirito di Benedetto Croce giovedì scorso a Palazzo Reale di Napoli. Nella sede della Fondazione Premio Napoli – anfitrione il suo presidente, avv. Domenico Ciruzzi – è stato presentato il fresco di stampa ‘Napoli e i suoi dilemmi’ di Umberto Ranieri per i tipi di Guida editori. Un breviario della storia recente di Napoli lo ha definito Alfredo Guardiano, magistrato di cassazione ed animatore, illo tempore, dei Ricostituenti per Napoli. Un breviario, ha aggiunto lo storico Paolo Macry, piccolo, denso, non schematico.

Torneremo a breve sul testo di Ranieri in sede di recensione, qui ci limitiamo a registrare alcuni passaggi del dibattito ed a raccogliere alcune delle tante suggestioni.

Tutti i relatori – Enzo D’Errico, direttore del Corriere del Mezzogiorno e coordinatore del dibattito, quindi i già citati Alfredo Guardiano, Paolo Macry e Domenico Ciruzzi, nonché l’economista Paolo Frascani e l’autore – si sono ritrovati con diverse sfumature nella condanna crociana della borghesia napoletana e meridionale, che non ha fatto mai il salto da classe sociale attenta al suo particulare a moderna classe dirigente.

Città di professionisti e di mercanti, secondo Frascani; una borghesia oscillante tra opportunismo e neo-giacobinismo, con inquietanti cedimenti al populismo giudiziario, secondo Guardiano; notabilato conservatore, nell’analisi di D’Errico. Sferzante la diagnosi di Paolo Macry, per il quale l’imprenditoria edile della città, pur egemone nel panorama imprenditoriale locale, non è mai riuscita a generare quello che per Milano è stato Berlusconi o per Roma Caltagirone, vale a dire un imprenditore che abbia esercitato un’egemonia nazionale. Solo la camorra – la sua amara considerazione – ha valicato con successo i confini della città.

Tutti i relatori erano di estrazione culturale e di orientamenti di sinistra; orbene, sembrerà paradossale, dopo oltre mezzo secolo di invettive e di caricaturizzazioni di Achille Lauro, il tavolo, sulla scia di un ripensamento recentemente aperto da Macry, si è trovato d’accordo nel riconoscere in quel sindaco lungimiranza, operosità, finanche correttezza istituzionale.

Se tale è stata ed è la classe dirigente napoletana, ardui sono stati i numerosi tentativi di praticare in questa città un riformismo all’altezza dei tempi. Ed è proprio questo il cuore della riflessione di Umberto Ranieri. Si interroga l’autore sulle ragioni di questa difficoltà a praticare il riformismo in una città pur governata dalla sinistra, da Maurizio Valenzi – quando per la prima volta la borghesia napoletana concepì di poter votare il PCI – ad oggi. Senza soluzioni di continuità, salvo l’interregno del decennio post-sisma.

Valenzi, Bassolino, Iervolino, De Magistris, ciascuno con le sue peculiarità, tutti di sinistra e tutti accomunati dal fallimento delle rispettive azioni riformatrici. Né Ranieri ha sottaciuto le sue stesse responsabilità, sia pure circoscritte alla stagione che lo vide protagonista attivo del governo della città con Valenzi e Geremicca. Non che nell’ultimo mezzo secolo non ci siano stati cambiamenti e trasformazioni, d’altronde sarebbe stato impossibile il contrario, ma si è trattato di una modernizzazione incompiuta, distorta, monca.

Ci ha pensato il buon Ciruzzi a mitigare tanta severa autocritica ricordando come Napoli, negli stessi decenni considerati dai relatori, abbia pure prodotto momenti di grande arte e cultura ed abbia attratto notevoli flussi turistici. E spezzando poi una lancia in favore del sindaco Bassolino, il cui Rinascimento napoletano coinvolse popolo e classi dirigenti in un moto di orgoglio e condivisione che aveva aperto uno squarcio verso la speranza.

Una piccola luce tra tante ombre, secondo Ranieri, al quale è apparsa incomprensibile l’iniziativa dell’ex sindaco di candidarsi alle recenti elezioni amministrative, peraltro senza accompagnare la candidatura ad un minimo cenno di autocritica sulla sua stessa esperienza sindacale degli anni Novanta. L’esito elettorale del suo tentativo, decisamente deludente, attesta invece che quella stagione ha lasciato delle ferite non rimarginate nell’animo dei napoletani.

Ma tant’è, ora tocca a Gaetano Manfredi, forte di un successo straordinario, imprevisto nelle sue dimensioni da tutti gli analisti. Ancora un sindaco di sinistra per Napoli, ancora una promessa di riforme e di modernizzazione. Con lui a Palazzo San Giacomo e con i fondi del PNRR, ha sostenuto D’Errico, la città è a un bivio, un futuro diverso per un verso, oppure l’incancrenimento delle sue contraddizioni.

Ce la farà il professore a guidare Napoli verso l’auspicato futuro diverso e migliore del presente? Molto dipenderà dalla sua prima scelta, la composizione della giunta. Manfredi avrebbe vinto anche senza l’apporto del M5S – ha concluso Ranieri – non si faccia ora irretire dalla contrattazione con le liste e listarelle che pure hanno contribuito al suo straordinario successo. Dia vita ad una giunta di grande qualità e si concentri sui servizi collettivi, senza dei quali non c’è modernità urbana che si rispetti.