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Avrà più di ottant’anni e certi applausi, ormai, son dovuti per amore. Applausi scroscianti anche se dal divano di casa perché, quando ti imbatti in Paolo Conte in televisione, la magia prende vita. Rai 3 ieri sera ha trasmesso un docufilm “Paolo Conte alla Scala – Il maestro è nell’anima”, la trasmissione ha raccontato tutto quello che c’è stato intorno a un evento unico nella storia della musica leggera italiana: a febbraio 2023, il Teatro alla Scala di Milano ha aperto le sue porte al più originale e ineguagliabile dei nostri cantautori: Paolo Conte, e qualcuno disapprovò la decisione.
Nonostante gli anni, non ho mai avuto l’impressione che Conte invecchiasse veramente. L’avvocato di Asti è e rimane un affascinante signore del Novecento che vive in un luogo di eleganza, riservatezza, ironia e abilità a disegnare paesaggi quotidiani e immaginifici con parole e note. Luoghi surreali che chi ascolta Paolo Conte ha percorso realmente, quando ci si trova vicini a una città lontana o in quell’Africa in giardino, più afosa di quella equatoriale o ancora quando tutto intorno è pioggia, pioggia, pioggia e… Francia.
Ieri sera le abbiamo ritrovate tutte, quelle sue atmosfere rétro, un po’ malinconiche, le suggestioni jazz, quello spaesamento della solitudine che spesso avvolge i suoi personaggi. Ma anche il ritmo forsennato dei quasi quindici minuti di “Diavolo rosso” (che delitto la pubblicità proprio durante il pezzo!) in un susseguirsi di assoli vertiginosi dei suoi musicisti, il tutto sotto l’attenta e divertita gestualità del maestro, discreto ma inflessibile direttore d’orchestra, di quell’orchestra che, come direbbe lui è bella e martire, chiusa nel golfo mistico, che ribolle di tempesta e libertà.
Nessuno come lui ha spiegato l’amore, in tutti i suoi passaggi, senza tremolii sentimentali, come in un “gioco d’azzardo”, brano di un’intensità struggente, tra passato e presente, tra allegria e naufragio. Lezioni imparate senza accorgersene, mentre Conte usciva in controluce dalla professione legale e diventava un artista acclamato in tutta Europa.
Sarà per questo che è stato la colonna sonora della mia vita, ma anche il mio vocabolario di parole, sfumature sofisticate, pianoforti a coda e architetture lontane. Il piacer che fa un bel mazzo di rose ma anche il rumore che fa il cellophane. È stato dai suoi dischi che ho imparato che esisteva la poesia di una stanza che si può riempire “di incantesimi, di spari e petardi”. Ascoltare Paolo Conte è ritrovarsi in un’altra vita, attraverso la canzone perduta e ritrovata. In quell’orchestra che precipita in un ventilatore al Grand Hotel. Nella poesia di un accappatoio azzurro, o di chi sta lì nel suo sorriso a veder passare i tram. Ma la gemma preziosa è la dolcezza senza rimpianti, quella però, è la lezione più difficile da imparare. Continueremo a provare, senza sosta. Grazie Maestro!