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Referendum custodia cautelare. Se in carcere ci vanno gli innocenti

by Luigi Gravagnuolo
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Il quesito

«Volete voi che sia abrogato il Decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447 (Approvazione del codice di procedura penale), risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: articolo 274, comma 1, lettera c), limitatamente alle parole: “o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché’ per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195 e successive modificazioni.”?».

 

L’articolo (in grassetto le parole di cui si chiede l’abrogazione)

<<1. Le misure cautelari sono disposte (1):

a) […];

b) […];

c) quando, per specifiche modalità e circostanze del fatto e per la personalità della persona sottoposta alle indagini o dell’imputato, desunta da comportamenti o atti concreti o dai suoi precedenti penali, sussiste il concreto e attuale pericolo che questi commetta gravi delitti con uso di armi o di altri mezzi di violenza personale o diretti contro l’ordine costituzionale ovvero delitti di criminalità organizzata o della stessa specie di quello per cui si procede. Se il pericolo riguarda la commissione di delitti della stessa specie di quello per cui si procede, le misure di custodia cautelare [284, 285, 286] sono disposte soltanto se trattasi di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni ovvero, in caso di custodia cautelare in carcere, di delitti per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni nonché per il delitto di finanziamento illecito dei partiti di cui all’articolo 7 della legge 2 maggio 1974, n. 195, e successive modificazioni. Le situazioni di concreto e attuale pericolo, anche in relazione alla personalità dell’imputato, non possono essere desunte esclusivamente dalla gravità del titolo di reato per cui si procede>>

 

Dal 1992 al 2020 sono finite nei nostri superaffollati istituti di detenzione, per motivi cautelari, 29.452 persone poi risultate innocenti, circa mille all’anno. Nello stesso lasso di tempo, per indennizzi a seguito delle ingiuste detenzioni, lo Stato italiano ha sborsato 795 milioni di euro, trentasette milioni nel solo 2020. Incalcolabili poi i danni arrecati all’animo delle persone innocenti per l’umiliazione cui sono state sottoposte e per la loro esposizione al disprezzo pubblico. La carcerazione – domiciliare o negli istituti di pena che sia – è un’esperienza scioccante per chi la subisce, specie se è innocente.

È allora palese che questo referendum colga un problema nodale dell’amministrazione della giustizia nel nostro Paese.

IL CONTESTO

I piemme non sono autonomi nel disporre la detenzione cautelare di un indagato, devono richiederla al Gip, Giudice delle Indagini Preliminari, il quale, valutate le prove raccolte dal pubblico ministero, decide se assentire o negare gli arresti. Poi, entro pochi giorni dal suo arresto, l’imputato in custodia cautelare, può fare ricorso al Giudice del Riesame per una nuova valutazione. Insomma, siamo in uno stato di diritto e le garanzie per gli indagati sono corpose. Ricordiamo pure che la custodia cautelare è una misura coercitiva prudenziale, non una condanna pre-giudiziale, ancorché come tale essa sia percepita dall’opinione pubblica. Ma torniamo al piemme che richiede la detenzione cautelare di un imputato.

Può farlo in tre casi, enucleati nell’art. 247 del Cpp:

1. nel caso l’imputato in libertà possa ‘inquinare’ le prove, comma a);

2. se ci sono pericoli di fuga dell’imputato, comma b);

3. se questi può reiterare il reato, in questo caso solo se i delitti prevedano la reclusione non inferiore a quattro anni per i domiciliari, o di cinque anni per la custodia cautelare in carcere, quindi solo nei casi più gravi, comma c).

Il quesito referendario è circoscritto ad alcune fattispecie del comma c). Negli altri casi, pericolo di inquinamento delle prove o di fuga, tutto resta com’è ora, quale che sia l’esito del referendum. Ed allora, qualora vincessero i Sì, cosa cambierebbe?

Mentre oggi il piemme può chiedere la misura cautelare – carcerazione preventiva, arresti domiciliari, divieto di dimora – nei casi in cui l’imputato, se lasciato a piede libero, possa commettere reati della stessa specie di quelli per i quali si sta procedendo in via giudiziaria, se vincessero i sì potrebbe farlo solo per i delitti di criminalità organizzata, di eversione o per reati commessi con l’uso di armi o di altri strumenti di violenza personale. Per essere espliciti fino in fondo, a meno che il piemme non dimostri che l’imputato possa inquinare le prove ovvero sottrarsi con la fuga alla giustizia, per i reati di corruzione, concussione, peculato ed altro non potrebbero più ordinarsi le misure cautelari.

PRO E CONTRO

I numeri citati nell’incipit di questo pezzo sono raggelanti, i referendari ritengono che la magistratura requirente, in palese violazione del principio costituzionale della presunzione di innocenza, abbia abusato oltremisura di una pratica concepita come emergenziale, provocando ingiusti danni alle persone ed alle casse dello Stato. Se vincessero i Si, oltre che per i pericoli di inquinamento delle prove e di fuga, la carcerazione preventiva resterebbe in vigore solo per i reati più gravi, quelli della criminalità organizzata, dell’eversione contro l’ordine costituzionale ovvero dei pericoli per la sicurezza dei cittadini, o per violenze private commesse con le armi come pistole, coltelli etc. Si ridurrebbe pertanto il rischio di privare della libertà personale, sia pure solo temporaneamente, persone innocenti.

La questione è indirettamente connessa alla critica alla politicizzazione della magistratura, sospettata di disporre la custodia cautelare di personalità politiche avverse alle loro ideologie, spesso in periodi pre-elettorali.

Coloro che viceversa sono per il No sostengono che l’eliminazione dal sistema normativo della disposizione del quesito referendario non escluderebbe il pericolo di carcerazione preventiva nei confronti di soggetti innocenti, in quanto purtroppo l’errore giudiziario è sempre dietro l’angolo. Piuttosto l’eliminazione dal sistema di tale disposizione non consentirebbe l’adozione di misure custodiali rispetto a reati di grave allarme sociale, pur se posti in essere senza uso di armi o violenza, come ad esempio le truffe, le bancarotte fallimentari, l’usura, lo stalking, la corruzione, la concussione, i furti in abitazione ed ogni altro tipo di furto senza violenza sulle persone, le estorsioni fatte con le sole minacce, le rapine con minaccia. Per molti di questi reati è previsto l’arresto obbligatorio in flagranza. Immaginiamo quindi che una persona, colta in flagranza a commettere un furto, venga arrestata sul fatto e che immediatamente dopo venga scarcerata. Quale sarebbe la frustrazione di poliziotti, carabinieri e guardia di finanza e quanto profondo lo sconcerto dell’opinione pubblica? Piuttosto sarebbe certa una notevole riduzione della tutela della sicurezza collettiva rispetto a soggetti obiettivamente pericolosi.

Il tema della carcerazione preventiva è dunque complesso e meritevole di attenta riflessione. Difficile risolverlo con un Sì o un No. L’accademia ed i fori giudiziari ne stanno discutendo da tempo anche alla ricerca di soluzioni innovative. Si parla, ad esempio, degli istituti di giustizia riparativa, che potrebbero condurre ad una notevole riduzione dell’area della carcerazione preventiva, senza rinunziare alla tutela della sicurezza pubblica.

Quella della giustizia riparativa è una idea del tutto nuova della funzione penale. Per essa la misura punitiva del reo verrebbe affidata alla restrizione della libertà personale o al pagamento della sanzione solo in extrema ratio, nelle situazioni più allarmanti, mentre nella maggioranza dei casi verrebbe ricondotta a sanzioni risarcitorie, che pongano in stretto contatto, attraverso la figura di un mediatore sociale e con la supervisione del giudice, l’autore del reato e la vittima.

Pare che la ministra Cartabia sia molto convinta di questa soluzione, ma questa non è roba da referendum.