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Regionali, vince la destra ma crolla la partecipazione

by Pietro Spirito
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Sul crollo dell’affluenza al voto, lo slittamento era cominciato già da un tempo lungo, con la fuga dalle competizioni referendarie. Questa mutazione della democrazia italiana è traslata prima nel voto amministrativo dei territori meridionali, poi anche nelle elezioni politiche, per finire oggi nel voto delle regionali in Lazio ed in Lombardia.

Stavolta si è determinato un salto di qualità, con una partecipazione al voto minoritaria rispetto al corpo elettorale. Per la prima volta nella storia della Repubblica saranno eletti rappresentanti del popolo che non sono stati scelti dalla maggioranza dei cittadini aventi diritto.

Ovviamente questo terremoto ne implica di conseguenza tanti altri. Una fuga così massiccia dalle urne, nelle regioni della Capitale politica e della capitale economica della nazione, non può passare inosservata. Si poteva prevedere uno slittamento verso il basso della partecipazione al voto, ma non una slavina di astensionismo di queste proporzioni, quasi bibliche. In Lazio hanno votato il 37,1% dei cittadini aventi diritto, mentre in Lombardia si arriva al 41,6%.

Una base così radicalmente minoritaria di votanti sottopone il voto ad una incertezza particolarmente rilevante sulla tenuta nel tempo della rappresentanza. Se passiamo invece ai voti espressi, seguendo i sondaggi delle settimane precedenti, i due candidati della destra, Attilio Fontana in Lombardia e Francesco Rocca in Lazio, si sono aggiudicati la competizione con largo margine di vantaggio rispetto alle opposizioni che si sono presentate divise in entrambe le regioni.

In entrambi i casi è stata superata la maggioranza degli elettori, mentre le due opposizioni a geometria variabile sono andate molto distanti dalla competitività. In Lombardia, Pierfrancesco Majorino si è fermato attorno al 35%, mentre Letizia Moratti non è andata oltre il 10%. In Lazio, Alessio D’Amato si è collocato distante da Francesco Rocca, ed ha ottenuto un consenso non molto superiore alla candidata dei 5Stelle, Donatella Bianchi.

In buona sostanza, l’astensionismo si è spalmato in modo quasi omogeneo su tutti gli schieramenti politici, con una apparentemente lieve torsione maggioritaria nel centrosinistra. Questo elemento strutturale della espressione del voto, pur ormai giunto al livello dello stato critico di guardia, sarà con buona probabilità spazzato via dalla discussione pubblica, che si concentrerà invece sugli eletti e sui voti espressi.

Certamente, nei voti espressi, questo voto premia il governo di Giorgia Meloni. Si tratterà di capire come si suddivideranno i consensi tra i tre partiti della maggioranza nelle due regioni nelle quali è stato espresso il voto. Una affermazione ancor più larga di Fratelli d’Italia potrebbe condurre ad una tendenza verso la differenziazione e la specificità.

Per altro verso, queste elezioni regionali testimoniano, per ora, l’irrilevanza della disunione tra le tre opposizioni: in termini algebrici non si sarebbe potuto determinare un ribaltamento del risultato tra maggioranza ed opposizione, considerato che i candidati della maggioranza hanno superato, sia in Lombardia sia nel Lazio, il 50% dei consensi.

In qualche modo, il voto opera nel senso di una continuità del governo, e possono essere solo le forze della maggioranza a determinare uno smottamento mediante divisioni, per ragioni interne. Per le opposizioni, comincia ora la fase nella quale vanno costruite le ragioni delle alternative possibili.

Avremmo tutti bisogno di continuità, di serietà e di meditazione. Ma già dietro l’angolo si afferma la ricerca della fibrillazione continua, con le polemiche davvero poco utili determinate dai commenti sul festival di Sanremo, o dalle affermazioni di Berlusconi su Zelensky. C’è una componente calcistica nella politica italiana che proprio non riesce ad essere messa ai margini.