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Città e migrazioni tra Africa ed Europa

by Alessandro Bianchi
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“Kibera” – Nairobi (2,5 milioni di abitanti)

Il seguente articolo deriva da un intervento che l’Autore ha tenuto l’11 febbraio, a Roma, al convegno su “Cambiamenti climatici e migrazioni”, dell’African People Scientific News .

 

Il nesso di causa-effetto tra cambiamenti climatici e migrazioni in Africa è un fatto ormai assodato ed ha una diretta implicazione su quanto sta avvenendo nei rapporti tra il continente africano e quello europeo.

Tuttavia vanno considerati altri due altri macrofenomeni da tempo in atto in Africa che, oltre a costituire un problema di per sé, agiscono come concause dei cambiamenti climatici nell’originare le migrazioni sia interne che verso l’esterno.

Si tratta della “esplosione demografica” e della “massiccia urbanizzazione”, a cui qui mi riferisco per le implicazioni che hanno su un particolare aspetto della questione migrazioni, quello delle città.

evoluzione della popolazione mondiale

A partire dalla seconda metà del XVIII secolo, in concomitanza con quella che va sotto il nome di “rivoluzione industriale”, la popolazione mondiale ha iniziato ad aumentare con una progressione mai vista prima nella storia.

Nel 1750 nel mondo vi erano circa 800 milioni di persone, ma dopo appena cento anni, nel 1850, erano già 1,25 miliardi con un incremento del 56%.

Questo trend di crescita è continuato in modo esponenziale, sicché dopo altri cento anni, nel 1950, la popolazione mondiale era raddoppiata raggiungendo i 2,5 miliardi. Attualmente, a distanza di settanta anni, è più che triplicata arrivando a 7,9 miliardi e la previsione è che nel 2050 raggiungerà i 9,0 miliardi.

E’ del tutto evidente che si tratta di una vera e propria “esplosione demografica”.

Peraltro questa enorme crescita si è distribuita in modo ineguale nelle diverse aree del mondo e uno dei casi più eclatanti viene proprio dal confronto tra Europa e Africa.

Africa ed Europa a confronto

Nel 1950 la popolazione europea era più del doppio di quella africana (547 milioni rispetto a 221 milioni) ma nei successivi settanta anni, fino al 2020, quella europea si è attestata a 744 milioni mentre quella dell’Africa è aumentata di circa sei volte raggiungendo 1,3 miliardi, vale a dire quasi il doppio.

E’ stato un completo capovolgimento dei rapporti di peso, che si accentuerà ulteriormente fino al 2050, quando la popolazione africana sarà nuovamente raddoppiata raggiungendo i 2,5 miliardi, mentre quella europea regredirà leggermente fino a 719 milioni, sicché a quella data l’Africa conterà una popolazione più che tripla dell’Europa.

Come scriveva già venticinque anni fa Massimo Livi Bacci, “sorprenderebbe che questo mutamento fosse spoglio di conseguenze” (Storia minima della popolazione del mondo, il Mulino, 1998).

Questa esplosione demografica è stata accompagnata in tutto il mondo da una “massiccia urbanizzazione”, vale a dire dal trasferimento di milioni di persone dai territori estensivi alle città, un fenomeno cresciuto talmente in fretta che ad oggi la popolazione urbana è più della metà di quella totale (4,2 miliardi sui 7,9 totali) e la stima è che nel 2050 raggiungerà il 70%, il che vuole dire che avremo oltre 6,0 miliardi di abitanti di città.

“Khayelitsha” – Città del Capo (1,2 milioni di abitanti)

“Manshiet” – Il Cairo (1,5 milioni di abitanti)

Venendo a quanto sta accadendo in particolare in Africa, il fenomeno dell’urbanizzazione è stato fortemente accentuato dalle conseguenze dei cambiamenti climatici (siccità, desertificazione, crollo della produzione agricola e altro ancora) che hanno innescato giganteschi movimenti migratori interni. Si stima che nel 2050 le persone residenti nelle città saranno circa un miliardo sul totale di 2,5 miliardi, il che farà aumentare a dismisura il fenomeno della formazione di sconfinate periferie urbane: “slums, bidonvilles, favelas, baraccopoli” a seconda delle diverse denominazioni che hanno assunto.

Attualmente nell’Africa sub-sahariana circa 50 milioni di persone vivono in queste realtà pseudo-urbane, nelle quali le condizioni di vita prevalenti sono povertà, fame e malattie, oltre alle distruzioni e alle vittime causate dalle onnipresenti guerre locali. Queste realtà di estremo degrado delle condizioni di vita sono state la prima conseguenza delle migrazioni interne al continente africano.

Ma contemporaneamente il capovolgimento dei pesi demografici tra Africa ed Europa di cui abbiamo detto, unitamente all’enorme disparità nelle condizioni economiche, sociali e ambientali, ha innescato il fenomeno delle migrazioni esterne, quelle tra i due Continenti, in conseguenza del quale negli ultimi dieci anni sono arrivati in Europa circa 800.000 migranti provenienti da ogni parte dell’Africa.

E’ evidente che siamo di fronte ad una migrazione epocale che continuerà in modo impetuoso e che, come sempre nella storia dell’umanità, non è arrestabile. Tentare di farlo – come è avvenuto in Italia dapprima con la legge Bossi-Fini (2002), poi con il decreto Salvini (2018) e ora con il cosiddetto “decreto ONG” del governo in carica – denota l’incapacità di comprendere la natura e la portata dei fenomeni in atto, che non possono essere arrestati ma esigono di essere governati per le rilevanti implicazioni che hanno soprattutto per i Paesi della riva nord del Mediterraneo: Italia, Grecia, Francia e Spagna.

Lesbo – Grecia                                                                                            Ceuta – Spagna

Calais – Francia                                                                                                                    Lampedusa – Italia

L’incapacità a farlo finora dimostrata dall’Europa nel suo complesso, ha la motivazione di fondo nel fatto che non è ancora riuscita ad affermarsi l’idea di una società “multietnica, multirazziale, multireligiosa, poliglotta” che, come tale, sia naturalmente predisposta alla inclusività. Questo vuoto culturale fa sì che il migrante sia tuttora considerato un invasore da respingere e che l’accoglienza sia una parola astratta.

La dimostrazione più eclatante sono i cosiddetti centri di accoglienza che, in realtà, sono luoghi di segregazione con tutto il carico di violenza e di sofferenza che questa condizione porta con sé.

Il problema città-migrazioni va affrontato a partire da un assunto inderogabile, vale a dire che le condizioni di vita nelle enormi periferie ai margini delle grandi città in Africa e quelle nei cosiddetti centri di accoglienza in Europa sono due facce di una medesima realtà che un mondo civile non dovrebbe tollerare.