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Scudetto del Napoli. È fatta, ed ora?

by Luigi Gravagnuolo
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Scriviamo quando è già stato scritto e detto di tutto di più, anche di superfluo. Parliamo del terzo scudetto del Napoli. A commento dell’accaduto, dalle feste al campo quindi, non sottolineeremo altro che tutta la vicenda mediatica, sociale e culturale che lo ha accompagnato testimonia in modo irrefutabile che il calcio non è una ‘pazziella. Nella nostra società secolarizzata e ‘liquida’ ha assunto parte del ruolo svolto storicamente dalle fedi e dalle ideologie. Aggrega individui-monadi, unisce comunità divise, a molti offre un senso della vita che fedi e ideologie non riescono più a dare. Se ne tenga conto quando si stronca come meramente delinquenziale il fenomeno degli ultras, che è ben più complesso di quanto un approccio penalistico ad esso non faccia pensare.

Ma torniamo al calcio giocato. Forte di progettualità, managerialità e lungimiranza, la gestione De Laurentis del Calcio Napoli ha raccolto finalmente il suo frutto più desiderato, lo scudetto. Il seme ADL lo aveva piantato il 5 settembre del 2004, quando dalla curatela fallimentare ebbe l’ok all’acquisizione del brand per 32 milioni di euro. Ripartì dalla Serie C, senza boria e supponenza. Con umiltà e perseveranza. Il presidente per un ventennio ha innaffiato, curato, coltivato quel seme con esemplare tenacia. Chapeau! Ora bisogna guardare avanti.

I due scudetti di Diego Maradona costarono al buon Corrado Ferlaino la perdita delle redini del bilancio e l’alienazione della società, prima ad Ellenio Gallo, poi a Corbelli, infine all’improbabile Naldi, che la portò al fallimento. L’esperienza conta e, ne siamo certi, De Laurentis non cadrà nella tentazione e non si lascerà prendere dall’entusiasmo. Ha toccato con mano, in questi anni, come i campioni più vantati, quelli dagli ingaggi faraonici, non siano di per sé garanzia di successo. Perciò il tetto del monte ingaggi sarà ritoccato verso l’alto man mano che crescerà il fatturato, com’è ovvio, ma non deborderà dai confini della sostenibilità finanziaria della società.

Il fatturato totale di una società di calcio dipende da tanti fattori: incassi da stadio, diritti televisivi, incassi dagli sponsor e dalla pubblicità, merchandising, plusvalenze, risultati sportivi, ricavi dalla cessione in prestito dei calciatori, questi ultimi piuttosto riduzioni dei costi che veri e propri ricavi. In percentuale gli incassi da stadio costituiscono una quota minoritaria sull’insieme dei ricavi; quota che tuttavia potrebbe crescere se negli stadi all’offerta sportiva si affiancassero l’entertainment, la ristorazione, negozi, ed altro. Non a caso tutte le società più ambiziose puntano a realizzare nuovi stadi e di proprietà. Ma la parte del leone nelle entrate di un club sportivo professionistico la fanno i diritti televisivi ed i risultati sportivi. Per dirne una, dalla partecipazione alla Champions fino ai quarti, quest’anno il Napoli ha ricavato 78 milioni di euro e per la conquista dello scudetto 23 milioni. In totale oltre cento milioni per i risultati sportivi. In campionato per i diritti televisivi ha ricavato 64 milioni di euro, undici sono stati gli incassi dagli sponsor di maglia.

Queste voci, in particolare i diritti televisivi e gli sponsor di maglia, possono crescere ancora, e di tanto; ma tale dinamica è direttamente proporzionale alla crescita del numero dei tifosi del Napoli nel mondo. Ad oggi sono sotto i quaranta milioni. Notate, tra le prime dichiarazioni a caldo di ADL dopo lo scudetto c’è stata quella nella quale ha detto che punta a conquistare cento milioni di tifosi azzurri entro pochi anni. Cosa che si ottiene con i successi sportivi e con adeguate ‘strategie integrate’ di promozione del brand. Anche l’acquisizione delle prestazioni di calciatori di altre nazionalità può essere finalizzata a questo obiettivo. La conquista dello scudetto col coreano Kim, il georgiano Kvaratskhelia, il messicano Lozano ed il macedone Elmas in squadra, ha comportato una crescita di tifosi in queste nazioni. Sarà poi utile programmare la partecipazione estiva a tornei internazionali e organizzare tournée in giro per il mondo.

Se quanto fin qui argomentato è corretto, dobbiamo conseguentemente mettere nel conto che, in attesa che la crescita del suo fatturato quest’anno si stabilizzi, il Napoli perderà dei campioni, che chiederanno ingaggi superiori alle possibilità della società, e dovrà rimpiazzarli con calciatori di eguale ed anche maggiore valore. Nessuno può immaginare che un Osimhen possa restare a lungo in azzurro sapendo che qui, per bene che gli vada, avrà un ingaggio di circa sette milioni di euro premi inclusi, mentre dall’Inghilterra e dalla Germania gliene offrono il triplo. Così per gli altri, compreso l’allenatore. Il presidente ha appena annunciato che non lascerà andare via Spalletti e Osimhen nella prossima annata e forse gli riuscirà. Chiavelli è un maestro dei contratti e i due campioni, grazie al suo lavoro, sono in qualche modo inchiodati alle falde del Vesuvio per il prossimo anno. Alla lunga però diventerà difficile trattenere loro ed altri campioni, tra i quali va annoverato a tutti gli effetti anche Giuntoli.

Vedremo cosa succederà questa estate, intanto sarebbe il caso di capire le potenzialità dei calciatori che finora hanno giocato di meno. Per riconoscimento della loro serietà – sono stati tranquilli in panchina per l’intero anno, tenendosi pronti quando chiamati a subentrare ai titolari e contribuendo a far gruppo nello spogliatoio – per farli vedere ai tifosi all’opera sul campo verde, per valutarne le rispettive qualità, sarebbe cosa bella e giusta se, a partire da domani, il mister schierasse in campo quelle che finora sono state le seconde linee. Magari con la sola eccezione di Osimhen che punta al titolo di capocannoniere.

Ecco, ci piacerebbe domani vedere in campo questa formazione, o una molto simile: Gollini; Bereszynski, Ostigard, Juan Jesus, Olivera; Demme, Gaetano, Raspadori; Zerbin, Osimhen, Simeone.