Dal 20 marzo, su Netflix, è in streaming il film di Francesco Lettieri: Ultras, che dal 9 all’11 marzo avrebbe dovuto essere in sala. Sappiamo tutti che non è stato possibile, per cui lo abbiamo visto comodamente da casa. Il regista è noto per i videoclip, tra i tanti, di Liberato, il misterioso artista napoletano che in questo film è autore delle musiche. Protagonisti sono Aniello Arena (il Mohicano), già interprete di Reality e della Paranza dei bambini, e Antonia Truppo (Terri). Con un cast di professionisti, come gli attori Simone Borrelli (Pechegno), Daniele Vicorito (Gabbiano) e altri, frutto di casting svolti a Poggioreale o così, semplicemente trovati per strada perché sembravano appropriati per la parte. Insomma, tutto affonda nell’humus di Napoli ed in particolare della tifoseria napoletana. Almeno così pare ad una prima sommaria lettura, anche se non è questo l’intento del regista.
La trama di Ultras: tre gruppi di tifosi si confrontano nel loro vivere il tifo. Vi è il gruppo storico di anziani, tra cui il Mohicano, che hanno dedicato tutta la vita alla loro squadra e che non possono più mettere piede allo stadio perché diffidati. Ogni domenica si ripete lo stanco rito della firma in caserma, non a caso il tempo è scandito dai nomi scritti in corrispondenza delle domenicali partite di calcio del calendario. Vi è poi la generazione dei giovani, Pechegno, Gabbiano, Barabba, che vivono il loro tifo come una continua sfida di gruppo ai gruppi avversari. Non sottraendosi ma anzi cercando la rissa, anche contro il parere degli anziani che cercano di educarli ad un atteggiamento diverso specie alla luce della loro esperienza. Infine i giovanissimi, uno dei quali, Angelillo, senza padre e con un fratello morto negli scontri allo stadio, che devono scegliere quale comportamento adottare e come convivere nella stessa piazza.
La vicenda si incentra sul percorso umano del Mohicano che, ormai avanti negli anni, stanco della ristretta e soffocante cerchia degli amici di sempre, cerca una nuova vita attraverso l’amore per Terri. Il suo percorso si intreccia con quello degli altri gruppi in un crescendo da cui la vita di tutti ne uscirà cambiata.
I luoghi sono quelli napoletani, in particolare il litorale flegreo con qualche incursione in centro. Il Vesuvio si staglia da cartolina in alcune inquadrature e il dialetto è ovviamente il partenopeo che in alcuni casi è sottotitolato. Le scene di violenza fuori degli stadi, anche se non vengono citati esplicitamente, rimandano a dolorosi episodi di cronaca come la morte del tifoso napoletano, Ciro Esposito, a Roma, punto di partenza della vicenda narrata del giovane co-protagonista Angelo. Il regista in alcune dichiarazioni ha sottolineato che il suo intento è stato di raccontare le emozioni e non la mentalità ultrà, raccontare la fede e l’amore per il calcio e non per la squadra infatti il campo non compare mai nelle inquadrature. Una storia universale, di evoluzione del personaggio, non riferendosi in particolare ai napoletani.
Tuttavia il mondo del tifo ha immediatamente preso le distanze: il regista ha realizzato un ritratto superficiale ed offensivo di un universo che si è deliberatamente scelto di raccontare in una certa maniera, cioè dal punto di vista di gruppi dediti alla droga, semianalfabeti e disoccupati. A detta dei veri tifosi, questo sarebbe il ritratto solo di una piccola, limitata fetta di tifo, quando invece, pochi lo sanno, il movimento dà vita ad iniziative meritorie per la città come donazioni agli ospedali e raccolta sangue. La prospettiva di Lettieri è quindi stereotipata, lontana dalla realtà. Parli di gruppo, decanti l’amore, ma l’ultra non puoi raccontarlo in televisione! Lettieri cambia canale, l’ultras è vissuto non girato, viva l’ultras senza netflix. Queste alcune delle scritte provocatorie che dai muri della città stanno facendo il giro del web.
Chi ha visto il film e le clip di Liberato sa che Lettieri utilizza il mondo del sottoproletariato con grande disinvoltura. Le immagini dai freddi e scuri colori, ammiccano alla serie Gomorra, al film La Paranza dei bambini, senza tuttavia avere di questi modelli la pregnanza della scrittura documentata. Si racconta una storia d’amore, vissuta ai margini, in un contesto di degrado in cui la vicenda acquista contorni di tentata resurrezione. E’ il mondo di Liberato, il mondo dei suoi giovanissimi fan che vogliono sognare, e ad essi il regista va incontro cercando di allargare la cerchia ad altri possibili contesti. Un’operazione furba, alimentata dalle polemiche, anche se il film si fa seguire con piacere, specie per chi è del Sud. Inutili dunque le discussioni, se qualche riferimento è leggibile, esso serve solo a costruire una cornice credibile, non certo ad un’analisi, ad una contestualizzazione o più ancora ad una condanna della tifoseria organizzata. E’ il cinema, bellezza!