Paola Nugnes è assurta agli onori delle cronache politiche nazionali per la sua posizione critica nei confronti del governo gialloverde e non solo. Considerata vicina al presidente della Camera Roberto Fico, è attualmente sotto esame da parte dei probi viri 5Stelle e rischia l’espulsione. Una vicenda politica che nasce da un malessere diffuso tra i sostenitori pentastellati e che, con ogni probabilità, non si ridurrà ad un semplice episodio. Finora non aveva affrontato analiticamente la questione sui giornali, lo ha fatto con noi.
Hai sempre sostenuto di appartenere all’ala ortodossa del Movimento, quella che si rifà ai suoi principi ispiratori. Quali sarebbero?
I 5Stelle nascono con il motto “nessuno deve rimanere indietro”. Io mi riconosco nel programma che abbiamo sviluppato nella XVII legislatura, soprattutto, e nei principi, le fondamenta che furono gettate alle origini. Sono stati individuati obiettivi comuni e il programma per le politiche del 2018, condiviso anche con gli iscritti on line. Nacque da una comunità di intenti che caratterizzò tutta la XVII legislatura, pur con qualche discrepanza già allora evidente sull’organizzazione interna sempre più chiaramente verticistica.
Cioè veniva messo in discussione il principio “uno vale uno”?
Si. Però la condivisione generale degli obiettivi rendeva la organizzazione interna comunque digeribile, proprio perché interna ad un partito, che è in fondo un ente privato, anche se io ed altri già la contestavamo nelle opportune sedi interne.
Poi siete andati al governo sulla base di un contratto. Ti riconosci anche in quello?
Si è trattato di una fase molto complessa e dibattuta. Ricominciamo dall’inizio. Quando Di Maio, nell’estate 2017 fu eletto capo politico, Roberto Fico mise in discussione l’opportunità di eleggere un capo all’interno dello schieramento parlamentare perché c’era il rischio che la struttura, fragile, del Movimento, senza strutture interne di rappresentanza democraticamente elette, un “non partito”, per intenderci, crollasse. Di Maio aveva già dato prova, come portavoce, di essere un ottimo strumento, ma la nomina a capo politico determinava un conflitto d’interessi perché si candidava, nello stesso momento, ad essere “premier”. Cosa che abbiamo sempre contestato a Renzi. Perché se un unico “capo” rappresenta e gestisce sia il legislativo che l’esecutivo, di fatto non è più assicurata l’indipendenza del gruppo parlamentare di maggioranza dall’ingerenza del suo governo cui non dà più un sostegno e una fiducia ragionata e dialettica, ma un assenso incondizionato e a prescindere. Un equivoco concettuale a mio avviso grave che è stato messo anche nero su bianco nel Regolamento del gruppo, a cui io con altri, il 27 marzo 2018 votammo no, motivando. Si impone, tra l’altro, il voto favorevole anche alle future e non prevedibili e non certamente valutabili questioni di fiducia che l’ipotetico governo 5stelle riterrà di porre, ossia un voto come una cambiale in bianco, non una richiesta di fiducia ma un atto di fede.
Nel contratto di governo si è andati avanti con questo equivoco di fondo. Si è concordata nel patto di governo una serie di punti, dei titoli, frutto di una trattativa che per forza delle cose non poteva essere approfondita e dettagliata a cui però si vuole legare anche il dibattito parlamentare. Al tavolo della “trattativa” hanno partecipato i parlamentari più vicini a Di Maio. Troppi leghisti o ex leghisti o soggetti comunque interessati a portare avanti le istanze del Nord, mi sembrò ad un certo punto ad una analisi dei soggetti coinvolti. Ma noi avevamo avuto un voto molto esteso al Sud e il voto parla. Ci dice da dove e da chi viene il nostro consenso. Ebbene, viene dal Sud e soprattutto dalla sinistra che abbiamo di fatto svuotata. Noi abbiamo più volte ribadito che non esiste più destra né sinistra nel senso che non c’è più la relativa rappresentanza. Da decenni la sinistra ha fatto una scelta liberista facendo una politica di destra. Però esiste un elettorato di sinistra ed è passato con noi, ma noi non lo abbiamo tenuto nel debito conto. Nonostante Di Maio avesse detto, con un’espressione molto poco felice, che i due forni erano equivalenti, ha preferito fare il contratto con la Lega. Un errore strategico, perché con il PD ci saremmo seduti col 32% contro il 19%, mentre la Lega è forte di tutto il centrodestra con il quale la sua alleanza non è mai venuta meno.
Si può dire che Berlusconi è stato sostanzialmente al governo con Renzi e oggi lo è con Salvini?
Sicuramente la presenza di Berlusconi è stata determinante e soprattutto ha dato alla Lega una forza alternativa, anche solo paventata, che il PD non avrebbe mai avuto.
Insomma, auspicavi il successo del tentativo di Fico.
Si, invece è stata una pantomima. La minoranza del PD favorevole all’intesa prese coraggio e pose la sola condizione di avere come riferimento Fico piuttosto che Di Maio. In teoria, la cosa per noi non avrebbe dovuto creare difficoltà perché uno vale uno. Ma Renzi affossò il tentativo della minoranza del suo partito entrando a gamba tesa in un programma TV a giugno. La cosa consentì a Di Maio di sbattere subito la porta, neanche ancora aperta, e di tornare alla Lega. Credo sia stato un canto e un controcanto, se non concertati che possono apparire tali.
In questo tuo racconto Di Maio sembra comandare da solo.
Lui è il capo politico. Poi ci sono Casaleggio e Grillo, che ha fatto vari passi di lato e la cui funzione si è esaurita da tempo. Sicuramente Di Maio non è solo, c’è sempre qualcuno che muove i fili e non è visibile. Diciamo che ci sono due teste, Casaleggio e Di Maio, che insieme scelgono capigruppo, ministri e via dicendo.
Però hanno scelto anche Fico, che ha consentito la nascita del governo.
Siamo tutti responsabili. Tutti ci abbiamo creduto.
Parliamo del decreto sicurezza.
Anche se fossi stata una leghista avrei votato contro. Perché, soprattutto nella parte immigrazione, non risolve i problemi anzi li crea, accrescendo irregolarità e illegalità e aprendo le porte alla criminalità organizzata. Ritengo di essere stata correttissima durante la discussione. Non ho fatto opposizione, non sono scesa in piazza. Quando Di Maio disse che il decreto non sarebbe arrivato in Parlamento blindato, chiesi al capogruppo di incontrare gli operatori dell’accoglienza come gruppo M5S. Mi fu risposto di proporlo in assemblea e io lo feci il 2 ottobre, sottolineando la necessità che i senatori venissero supportati nella loro scelta dalla conoscenza approfondita del testo, ma In pratica mi fu detto di no e che ci avrebbero lavorato le commissioni competenti. In seguito, anche che il decreto avremmo dovuto “farcelo piacere”. I nostri emendamenti in commissione non sono stati accolti. Fino all’ultimo abbiamo sperato che il Governo ci ascoltasse e quindi non abbiamo presentato proposte in aula, per essere il più possibile collaborativi. Invece ci siamo ritrovati emendamenti governativi peggiorativi. Il decreto è il disegno di società che alcuni vogliono ma che io assolutamente non condivido e che stride con il disegno che il movimento stava costruendo negli anni.
Dici noi, esisteva un coordinamento tra chi non era d’accordo?
Semplicemente ci siamo ritrovati. Parlandone ci siamo resi conto dei problemi enormi del provvedimento e ci siamo riconosciuti in 5, confrontandoci sulle proposte e mettendo insieme le nostre posizioni. In 3 abbiamo fatto la dichiarazione di non partecipazione al voto, perché era stata posta la fiducia e non potevamo non votarla, ma non potevamo neanche votare il provvedimento. Non ci siamo presentati noi alla stampa, non siamo andati in televisione. Sono state le dichiarazioni dei capi a scatenarci la stampa addosso. Non abbiamo risposto alle provocazioni e siamo rimasti sui temi. Per tutta risposta è stato avviato il procedimento dei probi viri, una cosa che leggo davvero male, che rappresenta un momento di rottura grave.
Tu sei ancora sotto giudizio, è un modo per tenerti sotto pressione?
Io non mi sono astenuta sulla manovra economica. Credo che De Falco sia stato già espulso per la reiterazione dell’astensione. Comunque mi sono autosospesa da capogruppo. Se il Movimento ritiene di tenermi sotto osservazione, io tengo sotto osservazione il Movimento, poi vedremo se abbiamo ancora dei contributi da mettere in campo reciprocamente o meno.
Hai sostenuto che se quest’anno le cose non cambieranno andrai via. Cosa dovrebbe cambiare?
Innanzitutto, il rapporto tra legislativo ed esecutivo. Bisogna liberare il parlamento e farlo lavorare. Tempi più lunghi per la discussione, maggiore ascolto, dialettica interna.
Se non succede ti iscriverai al gruppo misto?
Al gruppo degli indipendenti. Meglio Depretis che Salvini. Certamente non voglio restare inattiva e improduttiva. Se il mio contributo non serve al Movimento, il Movimento non serve a me.
Quanto tempo gli dai?
Il passaggio parlamentare sulla nuova autonomia delle Regioni è una data importante.
Parliamone.
La spinta autonomista nasce nel 2001 con la riforma del titolo V, ma la modifica costituzionale non è stata applicata. Infatti, non sono stati mai definiti i livelli essenziali delle prestazioni. La perequazione dovrebbe essere un meccanismo in base al quale se l’amministrazione locale non riesce a raggiungere i livelli essenziali interviene lo Stato. Ma se i livelli non vengono stabiliti, si verifica il paradosso per cui se un Comune non ha asili nido significa che non ne ha bisogno. In questo modo, negli anni, il Sud ha perso risorse importanti. Quando l’accordo arriverà in Parlamento si potrà solo ratificare o meno. Prendere o lasciare. Se non terrà conto delle esigenze del Sud, voterò contro e farò in modo che, senza guardare a colori politici, il Parlamento voti contro. Non stiamo a spingere bottoni, come diceva Beppe Grillo, non mi sono candidata per prendere un posto, sarei potuta diventare ministro se avessi voluto, ma per battermi sui principi.
E questo ci porta al vincolo di mandato.
Sono decenni che il sistema parlamentare è sotto attacco. Franchi tiratori, cambi di casacca, tutti considerati inaffidabili che venivano meno al loro mandato. Non pensavo che lo avremmo fatto anche noi. E’ vero che va ridotto il numero dei parlamentari e tagliati i loro stipendi, ma altrettanto bisogna fare con i membri del Governo, con i manager delle partecipate e, per quanto possibile, anche con gli AD delle aziende private. Serve un’azione etica di equità, altrimenti, tra tagli e vincoli, diventa un atto punitivo per il Parlamento Già oggi vittima dell’ingerenza governativa. Noi urlavamo contro i renziani quando votavano provvedimenti che non condividevano. Pensavo che, come diceva Fico, avremmo rimesso al centro il Parlamento, sentinella del Governo.
Come giudichi la rivolta dei sindaci?
A volte è necessario prendere una posizione, anche forte, di importante testimonianza politica. Quindi è giusto che i sindaci portino la questione all’attenzione nazionale, denunciando l’incongruenza del decreto. Sono sicura che verrà dichiarato incostituzionale.
Sei quindi in linea con De Magistris.
Sono d’accordo con molte delle sue posizioni, di facciata. Quando dice che i centri sociali sono anche uno strumento per dare risposte al territorio quando non si può fare di più. Quando sostiene che bisogna aiutare gli immigrati in qualunque modo. Quando lancia il suo appello contro la parola d’ordine “prima gli italiani”. Però, poi, realizza i PUA e aumenta le cubature in tutta Napoli svendendo il territorio, oppure coinvolge nell’amministrazione i rappresentanti della società civile e dei movimenti per farli fuori alla prima occasione. Non posso essere d’accordo. Ma certi temi vanno affrontati senza se e senza ma e vedere quanta gente ha raccolto il suo appello sugli immigrati rincuora. Se mi spiegasse perché concretamente opera in maniera diversa da quello che sbandiera ne sarei felice. Temo che non lo farà.