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Consumo di suolo e transizione ecologica, il rapporto 2021

by Redazione
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Consumo di suolo

“Consumo di suolo, dinamiche territoriali e servizi ecosistemici – Edizione 2021”. Si chiama così il Rapporto prodotto dal Sistema Nazionale per la Protezione dell’Ambiente, presentato il 14 luglio, che fornisce il quadro aggiornato dei processi di trasformazione della copertura del suolo permettendo di valutarne l’impatto sul paesaggio e sui servizi ecosistemici.

“I dati aggiornati al 2020, – vi si legge – prodotti a scala nazionale, regionale e comunale (…) confermano la criticità del consumo di suolo nelle zone periurbane e urbane, in cui si rileva un continuo e significativo incremento delle superfici artificiali, con un aumento della densità del costruito a scapito delle aree agricole e naturali (…) I dati confermano l’avanzare di fenomeni quali la diffusione, la dispersione, la decentralizzazione urbana da un lato e, dall’altro, la forte spinta alla densificazione di aree urbane, che causa la perdita di superfici naturali all’interno delle nostre città”. Tutto ciò riguarda “soprattutto le aree costiere e le aree di pianura”.

Il consumo di suolo non è rallentato neanche nel 2020, nonostante il lockdown, e continua al ritmo di oltre 50 Kmq l’anno. Un vulnus che i fragili territori italiani non possono più permettersi. Neanche dal punto di vista strettamente economico. Infatti, la perdita di servizi ecosistemici e l’aumento dei “costi nascosti”, dovuti alla crescente impermeabilizzazione del suolo, potrebbero erodere in maniera significativa le risorse del Next Generation EU.

Ma di che numeri stiamo parlando? Il costo complessivo sarebbe compreso tra gli 81 e i 99 miliardi di euro fino al 2030, il 7,11% del territorio nazionale è ormai impermeabilizzato e ogni italiano ha a disposizione circa 360 mq di cemento (160 negli anni ’50). E non va meglio, anzi, nelle aree a pericolosità idraulica (9% per quelle a pericolosità media) o in quelle a pericolosità da frana o a pericolosità sismica alta.

Per non parlare del rapporto tra consumo di suolo e isole di calore (dai 2°C ai 6°C in più nelle città rispetto alle aree limitrofe non urbanizzate). Della logistica, che non rigenera spazi già edificati ma occupa suolo agricolo. Del fotovoltaico, che solo in Sardegna ha ricoperto più di un milione di mq. di suolo invece di utilizzare gli edifici esistenti. Proprio a questo riguardo Italia Nostra ha chiesto al Parlamento di individuare aree idonee e non idonee alla localizzazione degli impianti eolici e fotovoltaici, prevedendo tra l’altro l’utilizzo di capannoni industriali, parcheggi e aree non utilizzabili per altri scopi.

L’incremento maggiore è stato registrato in Lombardia (765 ettari in più in 12 mesi), seguita da Veneto (+682), Puglia (+493), Piemonte (+439) e Lazio (+431). E da noi in Campania com’è andata? 210 ettari in meno di superficie naturale, come informa l’Arpac – l’Agenzia regionale per l’ambiente della Campania – che ha contribuito alla redazione del Rapporto anche con un intenso lavoro di fotointerpretazione e restituzione cartografica. Cioè un +0,15% rispetto al 2019, inferiore alla media nazionale. Il comune campano messo peggio è Maddaloni. Casavatore, Arzano e Melito conservano le prime tre posizioni a livello nazionale tra i comuni con la percentuale più bassa di superficie naturale, praticamente la quasi totalità del loro territorio è occupato da coperture artificiali. Il 34,18% del territorio della Città metropolitana di Napoli è stato “artificializzato”. In Campania il 10,39%.

Il rischio di una Transizione Ecologica incontrollata appare concreto.