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Le crociere a Venezia: cronaca di una morte annunciata

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Venezia

Il dilemma tra crescita economica e tutela dell’ambiente costituisce una delle grandi questioni strategiche del nostro tempo. Inoltre, la prospettiva green è uno dei pilastri del Recovery Plan comunitario: abbiamo tutti preso coscienza che la crescita non può calpestare la qualità del territorio e della vita.

Dentro questo contesto, sarebbe stato davvero singolare non intervenire sul nodo, ormai aperto da anni, del transito delle navi da crociera all’interno della Laguna di Venezia. Con lo sviluppo del gigantismo marittimo, la dimensione dei colossi crocieristici ha assunto una evidente incompatibilità non solo per l’impatto visivo, ma soprattutto per la qualità ambientale e per la tutela del territorio, oltre che per la sicurezza della navigazione. Però la vicenda veneziana sulle navi da crociera mette in evidenza tutta la debolezza dell’approccio regolatorio nazionale. Si arriva adesso, con le dichiarazioni del Ministro Enrico Giovannini, al divieto di transito senza aver intanto definito una pianificazione credibile per salvaguardare i grandi interessi economici e sociali legati al mercato crocieristico veneziano.

Venezia è il secondo porto italiano, dopo Civitavecchia, per transito di passeggeri sul mercato crocieristico nazionale, nella prima regione turistica italiana, il Veneto. La questione era sul tavolo da tempo, con il corredo di comitati vocianti di protesta e di continue, contraddittorie, discussioni istituzionali con tanto di Cabine di regia (il cosiddetto Comitatone), tavoli di confronto, progetti in fase di studio. In qualsiasi normale Paese civilizzato il tema sarebbe stato affrontato secondo criteri normali di programmazione: una decisione chiara, la definizione di un piano alternativo con un preciso cronoprogramma, la fissazione di un periodo transitorio per poter gestire il passaggio da un assetto di mercato ad un altro. Non è accaduto nulla di tutto questo. Il Comitatone ha partorito, in innumerevoli riunioni, un topolino, vale a dire una vaga ipotesi alternativa che ancora non è nemmeno progetto esecutivo.

Ora, di fronte alla decisione assunta, si apre solo un baratro temporale – tra cancellazione dell’assetto esistente e costruzione di una alternativa funzionante – che danneggia l’economia territoriale, ed una filiera molto più lunga rispetto al settore crocieristico. Ci possiamo permettere come Paese un approccio di questo genere? La credibilità dell’Italia nei confronti degli operatori internazionali ne esce ancora una volta picconata. Non è assolutamente possibile ipotizzare che si possa tornare a crescere e ad attrarre investimenti se questi sono i meccanismi decisionali ed i percorsi che vengono seguiti dalle Istituzioni.

La domanda è ovviamente retorica, e la risposta dovrebbe essere scontata. Ma non è così. La logica di procrastinare le decisioni per anni e decenni, per poi prendere un orientamento in assenza di un percorso alternativo per non penalizzare l’occupazione e l’economia, è prassi consolidata nel settore dei trasporti. Basta pensare alla tragedia di Alitalia, alla concessione autostradale assegnata ai Benetton oppure alle concessioni portuali, che troppo spesso privilegiano gli incumbent, a danno dei consumatori e del mercato.

Forse sarebbe il caso di rendere obbligatorie le soluzioni prima dei divieti. Nel caso di Venezia, avremmo dovuto ragionare prima sul modello di sviluppo di questa città, senza pensare, consapevolmente o inconsapevolmente, di trasformarla in un museo all’aria aperta. Così una decisione giusta diventa una iattura prossima ventura.