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Coronavirus. Ma io resto tra gli ottimisti!

by Federico L. I. Federico
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Stamattina, il direttore di questo giornale mi ha inviato un file audio in cui, con la sua voce cortese ma raschiata e bruciacchiata dalle troppe sigarette, mi diceva più o meno così: Amico mio, che ne dici di fare un articolo su quello che pensa e fa in quest’epoca di quarantena generale da Coronavirus un vecchiaccio come te, che coltiva però ancora molti interessi tanto che si è messo a fare il giornalista? Però, mi raccomando di non fare il polemico scettico come sempre, ma piuttosto cerca di intingere la penna nell’ottimismo.

Gli ho subito risposto con un file scritto, perché li preferisco. E’ forse un vezzo da vecchi? Comunque gli ho scritto: Okokok!!! Che più giovane e sintetico non poteva essere. E poi ho aggiunto con la mia solita, ma involontaria, stavolta, vena polemica: …ma io resto tra gli ottimisti!

E lo sono, davvero. E non pensi il lettore che lo faccio perché mi conviene, considerato che dai dati statistici emerge che la fascia degli ultrasettantenni è quella più a rischio di vita per gli effetti nefasti del Coronavirus. Sono ottimista perché cerco, tra dati e notizie, gli elementi che mi possano far pensare ad un’evoluzione possibilmente migliore per questa pandemia, globalizzata come l’economia.

Ad esempio, della settimana scorsa è la bella notizia che ha portato agli onori della cronaca mondiale i due nostri ospedali napoletani “Cotugno” e “Pascale”. In questi due ospedali, medici napoletani studiosi e tenaci, ma anche coraggiosi, hanno proceduto a innovare le possibili vie della cura contro gli effetti del Coronavirus. Essi hanno lavorato d’intesa con altri medici cinesi che dalla Cina li hanno sostenuti e incoraggiati con la propria fresca esperienza, costruita drammaticamente sul campo, anzi sul fronte di Wuhan.

In pratica i dottori Paolo Ascierto, Enzo Montesarchio e Franco Perrone – li cito senza alcun ordine o graduatoria di merito e li abbraccerei tutti insieme – hanno condotto su alcuni pazienti l’esperimento dell’uso di un farmaco già usato, sempre sperimentalmente, in Cina con successo circa un mese prima. Attenzione: la grande notizia positiva sta nel fatto che quello usato è un farmaco il quale era ed è usato normalmente per i malati afflitti da gravi problemi di artrite reumatoide e per i malati di cancro a loro volta affitti dagli esiti collaterali dell’assunzione di farmaci anticancro, capaci di produrre stati infiammatori di artrite reumatoide. A questa intuizione – che ha lo spessore e la dignità della scoperta – si dovrà la possibilità di ridurre i casi di terapia intensiva con intubazione e ventilazione nei malati di Coronavirus. Essi afflitti da arresto della capacità respiratoria polmonare, a causa dello stato infiammatorio dei tessuti interstiziali dei polmoni. Ma ciò ha ispirato ai medici, prima cinesi, poi napoletani, l’adozione di un farmaco “altro” per “analogia” patologica.

Al lettore ho volutamente risparmiato i termini tecnici e medici e – in omaggio all’invito del mio direttore – ho intinto la penna nell’ottimismo. E un altro motivo ci sta. Eccome!

In breve. Il farmaco ha un nome impossibile da ricordare a memoria: Tolicizumab (RoActemra) ed esso viene prodotto dalla ROCHE, multinazionale della farmaceutica. Ma la ROCHE ha già annunziato che metterà il farmaco, che è costoso, a gratuita disposizione di tutte le Regioni italiane che ne faranno richiesta. In più la ROCHE – attraverso il proprio presidente e amministratore delegato di Roche Farma, Maurizio de Cicco – si è impegnata a donare un milione di euro in dispositivi di protezione per medici e attrezzature per le terapie intensive. Mi è quindi consentito, anzi obbligato, l’ottimismo. Questo farmaco potrebbe ottenere il risultato di far diminuire nettamente (si spera) il numero dei pazienti da sottoporre a terapia intensiva e ventilazione polmonare. Potrebbe cioè contribuire ad evitare il temuto collasso delle strutture sanitarie in Italia. L’ottimismo è doveroso, altroché! Alla prossima quindi.