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Da Salerno alla Torre Picciola

by Federico L. I. Federico
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Lasciamo Salerno e la sua zona industriale e ci dirigiamo verso Sud perché siamo diretti a caccia di torri costiere fino alla foce del Sele, che prende il nome lieve di Focesele.

E chi lo pronuncia tende a non rendersi conto che si tratta di un nome composto riferito a una grande e bellissima foce di un fiume frontiera d’acqua e di storia. Grande storia di popoli e grande storia di cavalli. Credo di potere affermare che la provincia di Salerno, che non è capoluogo regionale, è l’unica provincia d’Italia a poter vantare ben due razze di cavalli riconosciuti per legge come tali. Si tratta della razza del Cavallo Salernitano e di quella del Cavallo Persano. A queste due razze equine l’Italia deve tutta intera la propria gloria equestre delle Olimpiadi dell’era moderna. Ovviamente anche per queste due razze equine – che essendo campane possiamo definire nostre – si litiga all’italiana tra i sostenitori della “Destra Sele” e della “Sinistra Sele”. Due correnti di pensiero tenaci sorte soltanto per attribuire ai territori delle rive opposte del fiume la “paternità storica” dell’una o dell’altra razza. Ne riparleremo in seguito. Noi, intanto, sul nostro cavallo d’acciaio che poi non è altro che una berlinetta procediamo a velocità spedita verso la litoranea salernitana. Sappiamo che essa man mano diventerà pontecagnanese, poi battipagliese e dopo ancora ebolitana, prima di arrivare a Focesele, il cui sparuto nucleo abitato è però dall’altra parte del Sele in territorio capaccese. ll lettore avrà capito ovviamente che questi comuni si dividono la costa sabbiosa a Sud di Salerno. Nel frattempo, abbiamo perso di vista però i ruderi della salernitana Torre Picentina, diroccata e contesa dai rovi di una selva frondosa di vecchi alberi che la avvolgono. Essa resta “circumnavigata” dalle strade di scorrimento recentemente costruite e quindi di averla persa ce ne facciamo una ragione.

Siamo adesso decisamente sul lungomare, la litoranea che arriva fino ad Agropoli. Questo tratto iniziale di strada litoranea reca il nome di Via Mare Ionio. Strano, ma va bene così. Ristoranti, lidi, hotel e campeggi ci corrono incontro a frotte. L’odore della salsedine invade tutto l’abitacolo. Il mare è proprio a un passo sulla destra. Finalmente. E il paesaggio riprende a popolarsi di palme e palmette ma – soprattutto e dappertutto – di tamerici, le quali da adulte sono veri e propri alberi e caratterizzano prevalentemente questo tratto di costa.

Abbiamo preferito percorrere la litoranea perché la sua alternativa sarebbe l’Aversana che ricorda nel nome la località omonima legata forse ai vecchi transiti delle mozzarelle della piana dirette ai mercati di Aversa e Napoli. A breve l’Aversana – peraltro monca a Sud sulla tratta ebolitana – sarà destinata al traffico da e per l’aeroporto di Pontecagnano. Pare che una giostra aerea di atterraggi e decolli partirà prossimamente. Si delineano insomma nuovi scenari per il turismo internazionale in Campania. Per ora l’Aversana offre soprattutto solidi paesaggi agresti e distese non certo affascinanti di serre per produzioni agricole di qualità. E’ la California del Sud della nostra Campania insomma, dove finalmente si respira benessere che trasuda dalle residenze agricole e dai centri rurali della “bonifica” rinati a nuova vita produttiva.

Essi interrompono il piatto paesaggio. E, anche se stiamo percorrendo la litoranea, ci accorgiamo che siamo nelle terre del Cavallo Salernitano e ormai non lontani da Persano. Ce ne rendiamo conto dal notevole transito dei tipici e leggeri rimorchi per “trasporto cavalli”. Decidiamo di fermarci per un caffè proprio vicino a un centro equestre dotato anche di un paio di ampie piste per i cavalli. Volutamente ci fermiamo non a un bar qualsiasi, ma presso un bar-ristorante che sta là da almeno mezzo secolo.

Oggi è il Ristorante Pizzeria Bar San Michele. E’ stato per decenni un luogo di ristoro e sosta per cacciatori, in quelle terre un tempo ospitali solo per la cacciagione. Ma il luogo ancora accoglie avventori come noi e turisti di passaggio in un’atmosfera semplice e sana che ricorda le vecchie osterie di campagna. Con tavoli all’aperto e un piccolo corredo di giochi per bambini. Per il caffè ci rivolgiamo, senza conoscerlo, ad Adriano, uno dei proprietari, i fratelli Montemurro. Egli ci accoglie garbatamente con i suoi baffetti sottili che danno al suo volto un tocco d’antan. Ci serve personalmente al piccolo banco bar il caffè, mentre un ciclista “vintage” sudato e ansimante chiede altrettanto. Gli diciamo che siamo giornalisti di passaggio, alla ricerca delle torri costiere. Allora, prima di congedarci, ha il tempo di raccontarci che il nome San Michele si deve alla devozione del suo papà per il grande santo dei luoghi pietrosi che altrimenti non sarebbe mai stato ricordato in piena pianura, oltretutto sabbiosa e limosa.

Lasciata l’osteria continuiamo sulla litoranea ormai divenuta battipagliese e arriviamo in un baleno alla località “Picciola” dove sorge una torre a base circolare, quindi di origine longobarda. La parte sommitale della torre, evidentemente rifatta, appare chiaramente destinata all’uso abitativo. Presenta però una inguardabile soluzione a pilastri per sostenere un leggero solaietto. Una soluzione che possiamo definire sconcertante. Eppure, la Torre Picciola è un bene monumentale di importanza storica, visto che intorno alla metà del Millecinquecento fu ristrutturata per entrare a far parte della catena delle Torri vicereali costiere di avvistamento e difesa. Essa fu infatti tra le sette torri allestite per il contrasto alla pirateria saracena tra Salerno e Agropoli. Poi nei secoli successivi e fino alla metà dell’Ottocento la Torre Picciola fu un presidio sanitario ebolitano. Un avamposto monumentale di civiltà contadina insomma, che meriterebbe una maggiore cura della immagine, che appartiene al paesaggio antropizzato.