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Dalla convention di FI: l’ultimo, per carità, spenga la luce

by Brian Curto
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Non l’ho trovato scritto da nessuna parte, ma alla convention di Forza Italia a Milano, c’è tanta gente. No, sul serio, c’era TANTA gente. E passi il sabato, con l’annuncio del video messaggio del Presidente. Ma io parlo del venerdì, quando in locandina non c’era nessuno di più eccitante di Antonio Tajani. In una sala da 1200 persone, la gente era costantemente troppa. E fuori c’era un mare di militanti (almeno per una convention milanese). La hall era piena, il patio con annessa postazione dei panini (targata Masterchef, perché questa non è una Festa dell’Unità) era pieno oltre l’assurdo. Purtroppo il venerdì un guasto ha impedito alla cassa che erogava gli scontrini di aprire in contemporanea al bar. Ma il bar, fiero e liberale come fosse ancora il 1994, non si è fermato.

Ma non c’è stato neanche il tempo di domandarsi come avrebbero fatto a ricordarsi quali e quanti scontrini battere all’apertura della cassa, che la marziale cadenza di scarpe da ginnastica contro asfalto ha annunciato l’arrivo dei Templari Cattolici. Ora, il vostro reporter ha controllato e no, la scomunica per chi tenti rifondare l’ordine dei Templari non è stata annullata nella notte. Quindi la domanda sull’esatto mix di cattolicesimo, templarismo e vecchia cara massoneria è rimasta inevasa. Ma le candide polo (c’erano 25 gradi, il mantello era da escludersi) brillavano comunque nella penombra. Dando l’impressione che, seppure si potesse escludere una nuova crociata, di sicuro la piccola spedizione avrebbe fatto il suo effetto. Ah, i templari erano ambosessi. Perché liberare la Terra Santa non è più un lavoro per soli uomini. È il 2023, dopotutto.

Un gradito ritorno erano poi i giovani, provenienti da tutta Italia. I giovani forzisti milanesi non sono mai stati pochi o timidi. Per quanto gli ultimi due coordinatori nazionali, con molta lungimiranza che ne giustificava ampiamente la nomina, abbiano abbandonato la barca trasferendosi in Fratelli d’Italia. Il movimento giovanile, comunque è forte e robusto, in una fascia d’età in cui non ci si aspetterebbe questa passione. Va detta, inoltre, una cosa. Per quanto non ci siano regole esplicite, è, che io sappia, anche l’unico giovanile di partito che abbia davvero il culto della divisa.

I leghisti vestono sempre meno il verde e i Fratelli il nero lo portano solo ai funerali. I giovani berlusconiani invece non hanno mai tradito lo stile “venditore di multiproprietà”. E più giovani sono, più il completo è immacolato, la cravatta di pregio, le scarpe terribilmente scomode. Le convention di FI sono le uniche in cui meglio sei vestito, meno vieni preso sul serio. Altro gioioso ritorno è quello delle ragazze. Loro molto meno formali, ma anche lontane dagli stereotipi associati a questo partito. Il venerdì è loro, diviso solo con le militanti di Azzurro Donna. Vengono fatti sfilare sul palco due volte, la seconda per salutare (e farsi selfie) con Dalla Chiesa (di rientro dalla parentesi presto dimenticata con Fratelli d’Italia) e l’onorevole Chinnici (la cui militanza nel PD è cosa di ere geologiche fa in tempo politico).

Il venerdì è stato, quindi, il giorno dell’esserci per essere. Il sabato quello di tracciare la rotta. Un’attività surreale per chiunque passasse per caso di là, ma profondamente radicata nella sala. Si parla di esteri. Si parla (tanto) di economia. Il Capodelegazione a Bruxelles, onorevole Fulvio Martusciello, traccia un ardito paragone tra Tajani e Manzoni. La sala applaude solo alla fine del parallelo. Non è dato sapere se senza fiato per l’ardimento, grata per la pioggia di cultura o sollevata per la fine del momento.

Ma sabato, a parte tutto, era il giorno del video messaggio. Repubblica dubitava che ci sarebbe stato. Sottovalutava il vecchio leone. O forse sopravvalutava le giovani iene, che non hanno avuto alcuno scrupolo nel forzare un messaggio devastante. Un leader la cui malattia traspariva da ogni, sofferta, parola. Sempre Repubblica parlava di successione rinviata. Non so che discorso abbiano ascoltato, ma quello di Berlusconi era la cosa più vicina ad un addio che sentiremo mai dalla sua viva voce. Dal momento in cui, vicino alle lacrime, ha raccontato quando nella notte dell’anima nel letto del San Raffaele è arrivato a fare il bilancio della propria vita, fino alle consegne per la campagna delle Europee. A cui, è evidente dai silenzi e dalle lacrime aleggianti, lui non parteciperà. È finita, è chiaro. Chi verrà dopo di lui non gli interessa.

Però, per restare sulle ultime note serie, interessa molto ad almeno quattromila persone, che si sono mosse per venire a Milano. Soprattutto dal Sud che, come ricorda correttamente Schifani, nell’organigramma del partito è sempre stato snobbato. E a torto. Se un manipolo di qualche decina di ragazzi si sposta da Potenza per vedere dal vivo Tajani (e viene quindi il venerdì, sobbarcandosi pure una notte in più) vuol dire che un popolo c’è. A prescindere dal Capo. E questo è un problema. Perché se un Capo come Berlusconi non ci sarà più per un paio di generazioni, i popoli in politica richiedono alcune cose che questa classe dirigente non è strutturalmente preparata a dare: partecipazione, scelte dal basso, rappresentanza.

Sempre Schifani, vecchia volpe, in un confronto con gli altri governatori del partito ha immediatamente puntato l’anello debole (Cirio, unico governatore del Nord) e ha attaccato sull’autonomia differenziata. È un segnale importante, in Sicilia FI ha chiuso l’operazione Chinnici e ha sfilato il seggio alla compagnia di giro di Paternò (da cui vengono i La Russa per intenderci). Non è possibile pensare che non ci siano Siciliani di peso nel partito dopo l’autoesilio di Miccichè. E se il ruolo di capodelegazione a Martusciello (invece che a Salini) è stata una mossa rischiosa, ma necessaria, che va in questa direzione, è chiaro che non basta.