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Davide Orecchio. “Mio padre la rivoluzione” finalista al Premio Napoli

by Piera De Prosperis
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Mio padre la rivoluzione concorre al Premio Napoli per la sezione narrativa, ma, in realtà, il testo presenta delle caratteristiche strutturali che lo rendono debitore anche di altri generi.

La storia, quella della rivoluzione di cui nel 2017 ricorre il centenario è elemento dominante della narrazione che avviene non secondo i canoni tradizionali del racconto alla Manzoni, per intenderci, ma attraverso una contaminazione di forme. Ci sono dei personaggi, ognuno protagonista di un capitolo, (ad esempio Trockij, Gianni Rodari, Bob Dylan), che si confrontano con l’evento primo (la rivoluzione del ’17) riflettendo, confrontandolo con i fatti a venire, ritornando al futuro, in un gioco di specchi che non mette mai in discussione la precisione e l’accuratezza della base storica.

Non a caso ogni capitolo si chiude con una Nota nella quale l’autore, alla luce dei suoi studi, ristabilisce quella verità oggettiva dei fatti che l’invenzione narrativa ha volutamente alterato: come avviene nel primo capitolo dove Trockij, sopravvissuto alla picconata di Mercader, vive nella città di Coyoacán, “poco sotto a Città del Messico”. E’ il 1956, “assomiglia a suo padre che fu il diciassette” e Trockij assiste all’invasione dell’Ungheria, agli atti del XX Congresso del PCUS, ai documenti segreti di Chruščëv su Stalin. Come se l’autore volesse rendere giustizia al pensiero di Trockij che “distingue comunismo dallo stalinismo” e che, se non fosse stato ucciso, avrebbe potuto confrontare gli eventi accaduti con le sue teorie. La storia non glielo ha consentito, lo fa il romanzo.

A ben guardare, Orecchio fa sue esperienze letterarie precedenti, prima fra tutte quella di Calvino de Il castello dei destini incrociati in cui attraverso una raffinata arte combinatoria, si riscrivono i destini dei cavalieri di ariostesca memoria. Qui si ricombinano i destini della Rivoluzione Russa, letta attraverso possibili, fantastiche, metafisiche combinazioni.

Del resto Orecchio ha esordito nella narrativa nel 2011 con le biografie reali ed immaginarie di Città distrutte, grazie alle quali ha vinto il Premio Supermondello, ed anche in questo caso il titolo riecheggia Le città invisibili di Calvino. Storico di formazione, ha pubblicato il romanzo Stati di grazia nel 2014, finalista al Premio Bergamo. Scrive sul blog letterario Nazione Indiana e suoi racconti sono apparsi sulla rivista Nuovi Argomenti.

Quanto la Rivoluzione Russa abbia pesato sulla formazione di un giovane, di famiglia comunista, lo si evince chiaramente, specie dopo il 1989, anno che ha messo in crisi il concetto stesso di comunismo, dando la speranza che qualcos’altro potesse nascere dalle sue ceneri. Speranza purtroppo disattesa e della cui delusione il testo si fa portavoce, confrontando aspettative con risultati deludenti, grami esiti di così tante speranze, dopo la caduta del Muro.

Sono narrazioni controfattuali, stati di cose, alternativi rispetto a quelli reali, derivanti da un’ipotesi contraria a un fatto realmente accaduto (per es., la situazione che si sarebbe verificata nel caso di vittoria del comunismo a seguito della Rivoluzione). Il titolo, poi, evidenzia un’altra commistione, quella tra la parola maschile padre e il femminile la rivoluzione. L’anno diciassette (…) quando i padri furono pure le madri, e le madri si sdoppiarono in padri … era l’androceo ed era il gineceo quando per gemmazione ebbe il tempo di dargli la vita.

Un testo non facile, dunque, in cui entrare nel meccanismo narrativo non è agevole, anche se indiscutibile risulta la bravura dell’autore nel maneggiare la lingua, ricca e ardita nella costruzione del periodo e nella scelta lessicale.

 E’, questa di Orecchio, una nuova via per recuperare il passato?

Ce lo auguriamo, abbiamo molto bisogno di storia. Non a caso penso che i selezionatori dei concorrenti al Premio Napoli abbiano voluto dare un segnale in tal senso. Si può fare ancora storia, non secondo la narrazione tradizionale ma, alla luce dell’eredità degli innovatori novecenteschi, raccontare secondo un ritmo diverso, se vogliamo metastorico, controfattuale, gli eventi che sono alla base del nostro presente e che dialogano con esso.

Lettura non facile, abbiamo detto, per un lettore tradizionalista, ma capace di proporre una soluzione al problema della trasformazione e dell’adattamento della letteratura, in particolare quella a sfondo storico, ai nuovi tempi.

di Piera De Prosperis