Le analisi eseguite dall’ARPAC e quelle interne agli impianti di depurazione, mostrano che negli ultimi anni da un lato si è verificato sporadicamente lo sforamento di parametri inquinanti quali BOD, COD e SST, e dall’atro il superamento ricorrente dei composti azotati, sicché il livello di qualità delle acque viene classificato “pessimo” ovvero “i valori degli elementi di qualità biologica del tipo di corpo idrico superficiale presentano alterazioni gravi e mancano ampie porzioni delle comunità biologiche di norma associate al tipo di corpo idrico superficiale inalterato”.
Suona male vero?
Quella della depurazione delle acque reflue in Campania è una storia che inizia nel 1972 con il Progetto Speciale del Golfo di Napoli, il cosiddetto PS3, primo e unico vero atto di programmazione in materia.
Il progetto della Cassa per il Mezzogiorno, definitivamente approvato nel 1979, divise il territorio campano in 15 comprensori, in ognuno dei quali le fognature comunali dovevano essere allacciate ad uno o più depuratori attraverso un sistema di collettori.
Ultimate le opere, la Cassa non trovò alcun Ente disposto a prenderle in consegna e sopportare i relativi costi e cominciò quindi un estenuante tira e molla alla fine del quale gli impianti furono rifilati alla Regione, che non c’entrava niente, a valere sulla fiscalità generale.
Successivamente, come spesso avviene dalle nostre parti, il Presidente della Regione fu nominato Commissario di Governo e bandì una gara per l’affidamento in finanza di progetto, cioè con soldi (teoricamente) anticipati dai privati, della gestione delle opere.
Nel 2000 fu approvato lo strumento di programmazione e solo nel 2006 il concessionario prese possesso degli impianti. Quando si dice l’emergenza.
Ma per una serie di motivi sui quali non è utile qui dilungarsi (l’impianto contrattuale era semplicemente sbagliato) la concessione di fatto saltò e la patata bollente tornò alla Regione. Oplà.
Inutile dire che ci sono state complesse indagini, con tanto di nomina di custode giudiziario.
Finché la Regione, nel 2011, cinque anni dopo la normativa del 2006 che ridefinisce gli standard qualitativi minimi che gli scarichi devono rispettare, approvò finalmente il “Grande Progetto Risanamento ambientale e valorizzazione dei Regi Lagni” che prevede l’adeguamento degli impianti di Napoli Ovest (Cuma), Acerra (Caivano), Napoli Nord (Orta di Atella), Area Casertana (Marcianise) e Foce Regi Lagni (Villa Literno), per qualcosa come 230milioni di euro.
Allo stato, però, a più di sei anni dalla loro programmazione, avvenuta forse anche su sollecitazione della Procura di Santa Maria Capua Vetere, i lavori non sono ancora partiti.
A quanto ci risulta questa dovrebbe essere la road map nel migliore dei casi:
- i lavori di Cuma dovrebbero partire nel giro di un paio di settimane;
- quelli di Napoli Nord non prima di tre mesi;
- gli altri tre a seguire con scadenze mensili;
- man mano che si consegnano i lavori si vorrebbero revocare le custodie giudiziarie.
Questo per iniziare, perché per vederli ultimati se ne riparla non prima di tre o quattro anni, se tutto va bene.
I risultati attesi sono ambiziosi, considerato che i cinque impianti servono oltre un terzo della popolazione regionale interessando un’area che comprende 72 Comuni e circa 2,3 Mln di abitanti equivalenti.
Ma la crisi paradossalmente aiuta e l’obiettivo del miglioramento della qualità dei reflui riversati nel Golfo di Napoli appare raggiungibile anche grazie al trend decrescente della popolazione nelle provincie di Napoli e Caserta ed alla deindustrializzazione del territorio.
Che fortuna!