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Ascalesi: a rischio il legame con il territorio

by Martina Specchio
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Nelle tormentate questioni legate al Piano ospedaliero regionale spesso si perdono eccellenze mediche sviluppate e cresciute in ambiti culturali ed antropologici molto particolari e per certi versi unici.

È il caso dell’Ospedale Ascalesi, ospitato in un grande e antico complesso monacale, adibito oltre un secolo fa ad ospedale per le prostitute pentite, poi ospedale generale oggi nel cuore di Forcella.

Questa struttura ha dovuto affrontare i problemi legati al forte insediamento multietnico, in condizioni estremamente complesse, facendo i conti con le patologie più varie e con un quadro sociosanitario difficile.

Il dott. Luciano Gualdieri, dal 2004 responsabile del Servizio di Patologia degli immigrati, ma con un lungo passato a servizio dell’Ascalesi, prima al pronto soccorso e poi alla direzione sanitaria, ci racconta il percorso di questo ospedale.

L’Ascalesi fino agli anni ’90 era unito al San Gennaro e insieme assicuravano circa 800 posti letto a servizio della Sanità e della Vicaria. Poi furono scorporati. Era fornito di pronto soccorso, con annessa rianimazione, due reparti di cardiologia, uno di virologia (all’epoca l’unico a Napoli), chirurgia toracica, d’urgenza e generale e due Medicine. Vere e proprie scuole, di grande tradizione. Molti di questi reparti erano gli unici della ASL. Poi, progressivamente, con la riorganizzazione dei servizi sanitari sul territorio, furono ridotti i posti letto e le unità operative, ma il Pronto Soccorso continuò ad assicurare una risposta importante alle esigenze degli abitanti.

Ma oggi non c’è più.

No, è stato chiuso nel 2013 e le urgenze territoriali dirottate a Fuorigrotta. Cardiologia fu trasferita al Loreto Mare e chirurgia toracica è andata scomparendo. La chirurgia d’urgenza fu trasferita al San Paolo. La chiusura di alcuni reparti del San Gennaro portò qui nuove unità operative, come ematologia ed oncologia e urologia fu rafforzata, ma l’effetto generale è stato quello della chiusura di molti reparti con solo un centinaio di posti letto per tutti.

 

Quale futuro vede?

Con il nuovo piano ospedaliero l’Ascalesi sarà assorbito dalla Fondazione Pascale e diventerà un polo oncologico specialistico, così perdendo del tutto il legame con il territorio senza più una struttura per il ricovero e la degenza, ma solo per il day hospital. Restano i punti di forza della radioterapia ed il blocco operatorio, i migliori della Asl. Se chiudessero anche questi sarebbe una grossa perdita, oltre che un vero spreco, anche se mi rendo conto che giocano negativamente le criticità logistiche della struttura stessa, quali il difficile accesso per i disabili e un’architettura troppo complicata dalle giustapposizioni tra il vecchio ed il nuovo corpo di fabbrica.

Però per la sua ubicazione nel centro di Napoli, dovrebbe rimanere un punto di riferimento sanitario, magari non per l’ospedalizzazione in senso stretto, ma certamente per i servizi ambulatoriali.

Cos’è l’Ambulatorio per gli Immigrati?

Nacque dall’iniziativa del Dott. Paolo Fierro e dell’organizzazione sindacale aziendale della Cgil, ma all’inizio era su base volontaria. Oggi, invece, la struttura ambulatoriale segue la normativa in materia e fornisce vari servizi, tra cui molto importante l’erogazione diretta dei farmaci, alla popolazione immigrata. Su questa base ora il servizio è organizzato ed ufficiale e prevediamo di portare qui più specialisti che visitino contemporaneamente uno stesso paziente in un’unica sessione, per semplificare i tempi di accesso alla struttura sanitaria pubblica. Il progetto riguarda non solo gli immigrati ma anche i senza fissa dimora italiani.

Ogni anno visitiamo molti pazienti di tante nazionalità diverse, perché il nostro ambulatorio è l’unico punto aperto in un ospedale e nasce proprio con la filosofia che i malati immigrati non debbano andare inutilmente in giro per i Pronto Soccorso e che, quando vengano dimessi dall’ospedale, abbiano un punto di riferimento per continuare le terapie e siano seguiti nel tempo.

Che rapporto c’è tra la popolazione locale e gli immigrati?

Negli anni passati avevamo molte segnalazioni di atti violenti verso immigrati, oggi molte di meno, mentre iniziano invece i conflitti tra gli immigrati stessi, tra chi vive qui da anni e i nuovi arrivati, reduci spesso da percorsi drammatici, ma che pure trovano un sistema di accoglienza già delineato, comunque più efficace della vecchia accoglienza spontanea. Negli ultimi anni abbiamo constatato addirittura una sorta di controesodo, con i vecchi immigrati costretti a tornare alle loro terre, riaccompagnati spesso da un’utile procedura di assistenza medica.

Ai nuovi immigrati, ma anche ai senza-dimora italiani, spesso chiedo perché sono qui, proprio a Napoli, e non invece in altre città italiane. Mi rispondono che trovano sempre una maniera per mangiare e un posto coperto, anche per strada, per dormire al sicuro. Vuol dire che qui c’è una popolazione che accoglie, con tutte le difficoltà di una vita di povertà e talvolta con le diffidenze ispirate da una paura indotta dall’esterno.

Forse ciò avviene proprio perché anche noi stessi discendiamo da molte etnie diverse, e questo è un nostro patrimonio, un patrimonio da difendere e da valorizzare.