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Festival dell’economia di Torino: i furbetti della meritocrazia

by Pietro Spirito
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Giuseppe Laterza ha coordinato una discussione tra il filosofo Marco Santambrogio e l’economista Andrea Boitani sul tema “Infermieri e top manager: chi ha più merito”. Sempre nella cornice del festival internazionale dell’economia che si è svolto a Torino, la questione della meritocrazia è stato uno degli asset centrali del dibattito.

Marco Santambrogio ha sottolineato che il progetto meritocratico si basa sul presupposto dell’eguaglianza dei punti di partenza e sul principio delle pari opportunità. In questo senso gli Stati Uniti non sono una società meritocratica: va ricordato che le scuole di base sono finanziate dalla tassazione sulla casa e, di conseguenza, i quartieri residenziali delle classi agiate presentano un livello qualitativo delle scuole primarie di gran lunga superiore rispetto ai quartieri delle classi disagiate. Si acuiscono per questa via, sin dall’origine, le condizioni di divaricazione delle opportunità sulla base del reddito. Dobbiamo però ricordare, da un lato, che anche una società giusta può essere orribile e, dall’altro, che con la meritocrazia non si attribuiscono solo soldi e ricchezza, ma anche riconoscimento sociale ed onori che spesso sono traguardi molto rilevanti per le persone: non si misura il proprio successo esclusivamente sulla base di parametri monetari.

Andrea Boitani ha sottolineato che il merito è un concetto confuso. Il confronto tra le persone può essere effettuato sulla base di una serie di assunzioni eroiche: esistono le pari opportunità, la posizione sociale è rappresentativa del merito, la ricchezza guadagnata corrisponde al giusto riconoscimento del merito. L’apprezzamento del mercato dipende dalla creazione della ricchezza, ma questo processo di generazione può dipendere dal potere di mercato di un’impresa, a sua volta funzione di una posizione di rendita, o di una condizione di monopolio o di oligopolio.

Non esiste una unica metrica del merito. Le competenze e le vocazioni sono molteplici e molteplici, di conseguenza, possono essere le strade capaci di condurre a quella eccellenza della prestazione che determina la formazione del merito. I criteri di giustizia per la distribuzione delle retribuzioni sono definiti da rapporti di potere, piuttosto che da regole neutrali che possano essere univocamente applicate. I confronti intertemporali lo stanno a dimostrare.

Vittorio Valletta, amministratore delegato Fiat negli anni del miracolo economico, guadagnava dieci volte lo stipendio del suo ultimo dipendente. Carlos Tavares, amministratore delegato di Stellantis oggi, ha guadagnato nel 2021 19 milioni di euro. Come stimato da Automotive News, Carlos Tavares dovrebbe ricevere un pacchetto di compensazione in contanti e azioni del valore di circa 220 milioni di euro in cinque anni. Non per questo Tavares è più meritevole o incapace di Valletta.

C’è molto da ragionare sugli incentivi e sulle distorsioni nella meritocrazia. Mi pare che questo tema sia il grande assente nella discussione pubblica. Se è vero che non esiste meritocrazia senza pari opportunità, non viene strutturata una efficace azione pubblica per rimettere i concorrenti su una linea di partenza allineata dal punto di vista delle opportunità.

Un sano riformismo dovrebbe strutturare un sistema di incentivi per garantire pari opportunità ma tutte le affirmative actions destinate a superare le differenze strutturali nei punti di partenza sono in grande crisi, innanzitutto negli Stati Uniti, Paese che ha molto puntato su una legislazione che scingesse un ruolo di riequilibrio nella gara della meritocrazia. Spesso accade anzi che queste norme si traducano in effetti distorcenti, se le regole non sono calibrate con i corretti coefficienti.

Ero rappresentante degli studenti all’Università ed esisteva un meccanismo di borse di studio per i meritevoli finanziato dall’Opera Universitaria: chi riportava nell’anno una media pari almeno a 27/30 ed aveva un reddito familiare basso, poteva richiedere la borsa. C’erano due meccanismi distorsivi in uno: la media dei voti richiesti non era particolarmente performante e quindi lo stimolo a raggiungere il merito non era particolarmente elevato, ma soprattutto il sistema si basava sui redditi familiari dichiarati, e quindi erano clamorosamente favorite le famiglie degli evasori fiscali, mentre erano esclusi i possessori di reddito medio basso con votazioni e medie di gran lunga superiori. Già allora i furbetti italiani della meritocrazia taroccate erano all’opera.