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Forza Italia: Operazione 22 dicembre

by Luca Rampazzo
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Raccontano i bene informati che i ritardi nell’annuncio dei candidati Governatori di Calabria e Campania, per una volta, non sia frutto della cronica disorganizzazione del centro destra. Il che sarebbe, in sé, una notizia. Sempre chi frequenta le segrete stanze racconta di alcuni fondamentali problemi, in casa Lega. Il primo dei quali è che un partito nazionale non può sistematicamente rifiutare di competere alla carica più alta dall’Umbria in giù. Non è semplicemente concepibile. Eppure, pare che sia proprio l’obiettivo di Salvini. Ma cosa sta facendo desistere il Capitano dalla cavalcata (si presume vittoriosa) attraverso il Vallo di Diano?

Non è lo charme, pur indiscusso, di Stefano Caldoro. Né le indiscutibili e talvolta persino memorabili doti di Jole Santelli (pare sarà lei e non Abramo a prendere il posto di Occhiuto nella corsa per Reggio), qualunque esse siano. Quanto piuttosto un vago, ma inquietante senso di sfiducia per la classe dirigente che ha costruito sinora. Ricca di entusiasti e povera di competenze spendibili al vertice di Regioni sempre complesse da governare. Non giriamoci attorno, Matteo è cresciuto. Sa che vinci in un giorno, ma puoi perdere in cinque anni se sbagli classe dirigente. Questa improvvisa presa di coscienza spiega la ritirata leghista. Ma non risolve il problema di cui sopra.

Va detto che il partito non è in condizioni di forma eccezionali. I risultati nei sondaggi in Toscana ed Emilia non raggiungono il 10% né sommandoli, né moltiplicandoli, né elevandoli l’uno alla potenza dell’altro. Ed a livello nazionale le cose non vanno meglio. Da questa situazione bisogna uscire in qualche modo. Già, ma come? Viene provvidenziale un evento che occorrerà il 21 dicembre. La Lega (ex Nord), va a congresso. E diverrà un autentico partito federato. Una collezione di partiti regionali, che delegano certune decisioni al nazionale (le candidature al Parlamento in sostanza) e gestiscono il resto in autonomia. Nel resto rientra il finanziamento. E bye bye Procura di Genova ed inchiesta sui 49 milioni.

Questa soluzione ha un altro vantaggio. Consente di federare altri partiti. Interi. Tipo, ad esempio, quello della rivoluzione liberale. Il quale fornirebbe quadri al Sud, una classe parlamentare senza grosse pretese e di provata fedeltà ed una credibilità internazionale che farebbe gola in un governo con dentro Borghi e Bagnai. Dopo il congresso del 21, il 22 dicembre ai figli di Silvio toccherebbe caricarsi sulle spalle, come già fece il prode Enea, uno stanco Anchise. Solo che la destinazione non sarebbero le spiagge laziali, ma la sede di via Bellerio. Una volta che la manovra fosse stata completata, FI diverrebbe un’appendice in naturale assorbimento.

A livello locale cambierebbe tutto. Caldoro non sarebbe un’espressione minoritaria di un partito minoritario. Ma un austero notabile di una forza maggioritaria, che può persino sognare di fare a meno di alleati. Sarebbe il volto rispettabile di quello scugnizzo di Matteo ‘O Capitano. Ai fan della prima ora sarebbero distribuiti posti incubatrice, in cui far crescere chi ne ha la potenzialità e nascondere tutti gli altri. Affrontando senza gli imbarazzi vissuti in Sardegna l’amministrazione Regionale.

Certo, non si tratterebbe di una operazione indolore, nessuno lo pensa. Ma il gruppo di amici di Mara Carfagna, logicamente prima che politicamente incompatibili col Piano 22 dicembre, non sarebbero in grado di fermare un’elezione alla Liguria. Ovvero una competizione elettorale dove potrebbe vincere pure un comodino rococò, vista la distanza siderale tra le coalizioni. Questa quindi, in sintesi la questione delle coalizioni. Il futuro di Forza Italia può avere due sole direzioni. Un dorato tramonto prima di una notte senza stelle. Oppure ripartire dalla Magna Graecia per rilanciare il detto Oraziano: Graecia capta, ferum victorem cepit.