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I calciatori iraniani danno lezioni ai colleghi occidentali

by Piera De Prosperis
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Se il campionato del mondo del Qatar poco interessa ai tifosi italiani, orfani della nazionale esclusa dal torneo, molto interesse suscita invece in tutti noi quando si fa teatro di episodi che attengono la vita reale, la difesa dei diritti, la politica degli stati partecipanti.

I giocatori dell’Iran non cantano l’inno nazionale ad inizio partita con l’Inghilterra, per dimostrare solidarietà con i manifestanti delle proteste che in Iran sono nate dopo la morte di Masha Amini. Un giocatore, Ehsan Hajsafi, aveva dichiarato in conferenza stampa che la nazionale iraniana in questo mondiale rappresenterà “la voce del suo popolo”. Un popolo diviso e dilaniato tra l’obbedienza alle leggi dello stato e l’insofferenza per un regime violento, autoritario e che ancora una volta si fa scudo del corpo delle donne per giustificare la repressione. Non dimentichiamo che due mesi fa Mahsa Amini era stata arrestata perché non indossava correttamente il velo islamico, lasciando scoperte delle ciocche di capelli. Anche gli spettatori della partita Iran- Inghilterra sugli spalti sono apparsi dilaniati: in parte hanno fischiato i giocatori, colpevoli di voler mettere in discussione i principi base della teocrazia iraniana, in parte, sia uomini che donne, hanno mostrano cartelli con i colori della bandiera nazionale e le scritte “Freedom for Iran” e “Woman Life Freedom”.

Donna, vita, libertà uno slogan coniato per la prima volta dalle donne combattenti curde e poi diventato popolare in altre proteste in tutto il mondo, tanto da essere utilizzato dal 2015 nei raduni organizzati per La giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne in diversi paesi europei.

Davvero il clima in Iran deve essere incandescente se su un palcoscenico internazionale si arriva a tanto e comunque bello il gesto di giovani uomini che non si tirano indietro ma sfidano le istituzioni in nome della libertà, di quella libertà che passa soprattutto attraverso la liberazione delle donne. Tutto questo nel silenzio assordante del mondo occidentale che teme nell’appoggiare la protesta che il regime degli ayatollah possa crollare, con il rischio di un avvicinamento alla Russia di Putin. Eppure nel lontano 1979 le donne avevano sostenuto in gran massa la rivoluzione contro il regime corrotto dei Palevi. La repressione contro i diritti civili da quel momento e nonostante i debiti del regime all’appoggio femminile sarà impressionante. Le donne avranno comunque accesso nei decenni successivi a studi prima loro vietati, ci saranno negli anni ’90 addirittura delle deputate, sempre rigorosamente velate, chiaro esempio di bastone e carota. L’evoluzione sociale, tuttavia, avviene in un regime politico che non cambia. Ma ora a 43 anni dalla caduta dello Shah Rheza Palevi, l’Iran sembra pronto per un’altra Rivoluzione. I segnali che vengono dai calciatori dal Quatar infondono speranza.

Una pagina invece che non avremmo voluto leggere riguarda le squadre di Inghilterra, Galles, Belgio, Danimarca, Germania, Olanda, Svizzera i cui capitani non indosseranno la fascia One love per la causa Lgbtq+.

A fare ostruzionismo è stata la Fifa in persona sostenendo che i capitani da regolamento devono vestire la fascia fornita dalla Federazione. E le squadre a rischio ammonizione e sanzioni sportive hanno accettato il diktat. La Fifa è un’organizzazione inclusiva e sostiene tutte le cause legittime, come One Love, ma nel quadro delle regole della competizione che sono note a tutti.

Ci saremmo aspettati un po’ più di coraggio dai calciatori ma forse, se gli iraniani non hanno nulla da perdere se non le loro catene, i calciatori del mondo occidentale possono avere danni alle loro carriere. O forse semplicemente gli animi non sono ancora pronti a sostenere i diritti Lgbtq+. Però tutti i giocatori dell’Inghilterra, impegnata contro l’Iran, si sono inginocchiati prima dell’inizio della partita del gruppo B dei Mondiali, come aveva annunciato il ct Gareth Southgate in segno di solidarietà verso il movimento «Black Lives Matter», «un gesto, diretto soprattutto ai giovani, contro ogni tipo di discriminazione». Il capitano, Harry Kane ha indossato la fascia con la scritta «No Discrimination», consentita dalla Fifa, invece che la prevista «OneLove».

Insomma per noi italiani il mondiale si preannuncia interessante, anche se non facciamo il tifo e non scorrazziamo per le strade con la nostra bandiera. Pazienza, ci accontentiamo di partecipare così.