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Il difficile percorso del PNRR tra balneari e Codice Salvini

by Pietro Spirito
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Mentre il Ministro Raffaele Fitto ha lanciato l’allarme sulla capacità di spesa delle risorse del PNRR, ieri sono accaduti due fatti rilevanti in Consiglio dei ministri: da un lato è stato approvato il nuovo Codice degli Appalti e dall’altro non è stato approvato il nuovo testo del disegno di legge sulla concorrenza. Le questioni sono strettamente connesse, perché le riforme sono il pilastro strategico fondamentale per la verifica comunitaria sull’ottenimento delle risorse finanziarie del PNRR.

Doveva in fondo essere chiaro sin dall’inizio che questo aspetto costituiva una delle prove più ardue per un sistema istituzionale come quello italiano, anchilosato dalle vischiosità decennali che le lobbies hanno attentamente cucito sul tessuto logoro del nostro Paese. Non era certo un caso che nella prima versione del PNRR, scritto dal Governo Conte 2, alle riforme non era riservata alcuna attenzione. Dopo un timido accenno nella versione conclusiva del documento Conte, è il Piano scritto da Mario Draghi che mette le riforme al centro del telaio per il PNRR.

All’inizio tutto funziona per il meglio: la credibilità europea di Mario Draghi, l’occhio benevolo delle istituzioni comunitarie, l’impossibilità per i partiti di mettere subito in evidenza le resistenze alle riforme hanno consentito di incassare le prime rate del PNRR senza alcuna esitazione. Ma già verso la fine della esperienza di governo di Mario Draghi, il fantasma dei balneari si è manifestato. A togliere le castagne dal fuoco di ha pensato il Consiglio di Stato, che con una sua sentenza ha consentito di guadagnare un anno di tempo, fissando il termine inderogabile per le gare entro la fine del 2023.

Dopo le elezioni e l’insediamento al governo della destra, proprio su questo punto è partita la gazzarra che ha condotto all’approvazione – da parte della maggioranza parlamentare – di un emendamento che ritarda per ora di un ulteriore anno il tempo per la effettuazione delle gare per le concessioni balneari. Da quel momento è risultato chiaro che le compatibilità comunitarie non erano nella testa e nelle priorità del governo.

Si giunge ieri all’approvazione del nuovo codice degli appalti. In realtà il testo, affidato dal Governo Draghi alla elaborazione da parte del Consiglio di Stato, era pronto dal sette dicembre dell’anno passato. Perché sono passati allora quasi quattro mesi prima dell’approvazione da parte del Consiglio dei ministri? Non era soltanto a quel punto necessario decantare di settimane indispensabili per poter rinominare quel testo come Codice Salvini, sfidando il tempo per poter acquisire una denominazione alla Hammurabi, entrando con il proprio cognome nei libri di storia.

Matteo Salvini ha lavorato per poter introdurre una serie robusta di principi contrari alle norme comunitarie sulla concorrenza. Riportiamo il comunicato stampa del valoroso Ministro autore dell’incunabolo: “Per fare una gara si risparmieranno dai sei mesi ad un anno, grazie innanzitutto alla digitalizzazione delle procedure (in vigore dal 1°gennaio 2024). Una banca dati degli appalti conterrà le informazioni relative alle imprese, una sorta di carta d’identità digitale, consultabile sempre, senza che sia necessario per chi partecipa alle gare presentare di volta in volta plichi di documentazione, con notevoli risparmi di costi e soprattutto di carta. Una norma apprezzabile anche sotto il profilo ambientale. Soggetti appaltanti, ma anche imprese e cittadini avranno disponibili on line i dati per garantire trasparenza.

Con la liberalizzazione degli appalti sottosoglia e cioè fino a 5,3 milioni di euro le stazioni appaltanti potranno decidere di attivare procedure negoziate o affidamenti diretti, rispettando il principio della rotazione. Per gli appalti fino a 500 mila euro, allo stesso modo, le piccole stazioni appaltanti potranno procedere direttamente senza passare per le stazioni appaltanti qualificate. Taglio dei tempi notevole soprattutto per quei piccoli comuni che debbano procedere a lavori di lieve entità che hanno tanta importanza per la vivibilità dei luoghi e il benessere delle proprie comunità.

Rivive l’appalto integrato: il contratto potrà quindi avere come oggetto la progettazione esecutiva e l’esecuzione dei lavori sulla base di un progetto di fattibilità tecnico-economica approvato. Inoltre, per garantire la conclusione dei lavori, si potrà procedere anche al subappalto cosiddetto a cascata, senza limiti.

Nessuna paura per la “firma”: niente colpa grave per i funzionari e i dirigenti degli enti pubblici se avranno agito sulla base della giurisprudenza o dei pareri dell’autorità.

Tutele simili per la delicata questione dell’illecito professionale. Nella riformulazione del codice si è proceduto ad una razionalizzazione e semplificazione delle cause di esclusione, anche attraverso una maggiore tipizzazione delle fattispecie. In particolare, per alcuni tipi di reato, l’illecito professionale può essere fatto valere solo a seguito di condanna definitiva, condanna di primo grado o in presenza di misure cautelari.

Una importante innovazione riguarda poi l’introduzione della figura del dissenso costruttivo per superare gli stop degli appalti quando è coinvolta una pluralità di soggetti. In sede di conferenza di servizi l’Ente che esprime il proprio no non solo dovrà motivare, ma soprattutto fornire una soluzione alternativa. Anche la valutazione dell’interesse archeologico, il cui iter, spesso lungo e articolato, rischia di frenare gli appalti, dovrà essere svolta contestualmente alle procedure di approvazione del progetto, in modo da non incidere sul cronoprogramma dell’opera.

Infine, ma non ultima, la salvaguardia del “made in Italy”: tra i criteri di valutazione dell’offerta è previsto come premiale il valore percentuale dei prodotti originari italiani, o dei paesi UE, rispetto al totale. Una tutela per le forniture italiane ed europee dalla concorrenza sleale di Paesi terzi. Le stazioni appaltanti possono indicare anche i criteri di approvvigionamento dei materiali per rispondere ai più elevati standard di qualità. Tra i criteri premiali la valorizzazione delle imprese, che abbiano sede nel territorio interessato dall’opera.”

In sintesi: fissazione di una soglia sino a 5,3 milioni di euro entro la quale non si svolgeranno gare ma solo trattative private; ritorno all’appalto integrato, dove il costruttore se la canta e se la suona; subappalti a cascata senza limiti; attenuazione dell’illecito professionale. Neanche Attila avrebbe saputo fare meglio. I requisiti di trasparenza e correttezza vengono meno completamente. Tutto il potere sta ai costruttori. E le reti di resistenza nei confronti della malavita economica sono state smantellate in modo completo.

Che un Codice così costruito possa essere considerato una riforma pare davvero ardito. Si dovrebbe piuttosto parlare di controriforma, in salsa neoliberista. L’effetto a cascata dei subappalti torna a chiudere il mercato, determinando nuove pressioni sulla liberalizzazione della sicurezza e della salvaguardia del lavoro edile. Con queste premesse pare difficile immaginare che il Codice Salvini possa essere considerato dalla Commissione Europea un passo in avanti dell’ordinamento nazionale. E poi ci stupiamo che il PNRR possa essere considerato a rischio.