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Il fascino sempreverde di Pompei

by Federico L.I. Federico
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Come è noto – o anche come dovrebbe essere noto – Giuseppe Garibaldi fece ingresso a Napoli nel giorno sette Settembre del 1860. Il generale, autoproclamatosi Dittatore già in Sicilia, era arrivato a Napoli in treno, preceduto e seguito dalle sue camicie rosse. Aveva viaggiato sulla linea ferroviaria – iniziata con la tratta Napoli-Portici, poi prolungata fino a Nocera e a Castellammare, con una stazione dedicata a Pompei Scavi – che era stata onore e vanto dell’industria del Regno Borbonico.

Garibaldi, abile conoscitore della tattica della guerriglia, aveva accortamente evitato di transitare alla testa delle proprie truppe nei tratti più stretti – e già allora più abitati – della strada che sottopassava la Reggia di Portici e portava a Napoli. Era la Via Regia delle Calabrie, che poi avrebbe assunto il nome di Strada Statale N° 18 del Regno d’Italia.

Garibaldi era arrivato a Napoli appena un paio di giorni dopo che il Re Francesco II di Borbone era riparato a Gaeta, lasciando l’amata Napoli. Franceschiello, bonariamente chiamato così dai Napoletani, aveva voluto evitare che Napoli fosse teatro di guerra guerreggiata nei vicoli, nelle strade e nelle piazze, tra le opposte fazioni che intanto si erano già formate non solo a Napoli, ma anche in tutto il Regno delle due Sicilie. Quella lealista e quella definitasi liberale, l’una contro l’altra armata. Le due fazioni erano sorte per i sopravvenienti eventi che stavano per sconvolgere la Storia moderna della penisola italiana.

Nel profondo del proprio cuore, Re Francesco II coltivava la speranza – disperata ma dura a morire – di potere smuovere le grandi diplomazie europee affinché esse ponessero riparo agli effetti devastanti di una guerra di conquista mai dichiarata, ad opera di un condottiero, chiamato generale, ma in realtà non appartenente ad alcun esercito costituito.

Mai speranza però fu più delusa e la roccaforte di Gaeta si arrese ai cannoni dell’esercito sabaudo di Vittorio Emanuele II poco più di cinque mesi dopo, il 13 Febbraio del 1861.

Ma intanto il Generale Garibaldi era già stato messo da parte dal re di Savoia vincitore, per il quale aveva combattuto fino a Teano. Colà gli aveva consegnato il Meridione d’Italia per lui conquistato, prima di rassegnarsi a finire i propri giorni tra gli esponenti di secondo piano del nuovo establishment savoiardo.

In questi pochi mesi convulsi, Garibaldi con i propri uomini e Pompei con i propri scavi ebbero modo di incrociare le proprie strade. Vediamo come e perché. Ci agganciamo dunque alle parole scritte da Luciana Iacobelli, archeologa e storica napoletana, autrice di “POMPEI e l’unità d’Italia” un libro ricco di notizie e gradevole per impaginato, pubblicato nel 2011 dall’editore Flavius, ancora rintracciabile in commercio.

Luciana Iacobelli scrive: “Quando Garibaldi entrò in Napoli nel Settembre del 1860, gli scavi di Pompei erano fermi da quasi un anno, cosa che non si era mai verificata prima, naturale conseguenza della difficile situazione politica che portò alla caduta della dinastia borbonica (…) Fu questa la Pompei che Garibaldi non tardò a visitare una volta arrivato in città.

Garibaldi, infatti, si recò in visita “privata” a Pompei già il ventidue ottobre, con un piccolo gruppo di sodali, tra cui il figlio Menotti. Ma il caso (o i servizi segreti di Cavour, visto che la visita di Garibaldi era stata preceduta giorni prima da un gruppo di Ufficiali) volle che il fotografo Giorgio Sommer, nato a Francoforte, ma stanzializzatosi a Napoli, fosse quel giorno a Pompei, ove ritrasse Garibaldi e i suoi ospiti sul podio del Macellum. Dopo poco più di un mese, fu prima un gruppo di Deputati e Senatori del Regno e, successivamente, lo stesso Re Vittorio Emanuele II, con un codazzo di cortigiani, a visitare gli scavi pompeiani. E in quella occasione furono “rinvenuti casualmente” numerosi oggetti suppellettili con uno scavo appositamente “predisposto” davanti agli occhi avidi della piccola corte sabauda in missione. Nulla di nuovo sotto il sole, evidentemente. Anche la vicenda di Alessandro Dumas padre, il grande romanziere de I Quattro Moschettieri, sembra per certi aspetti già nota. Vale la pena ripercorrerla rapidamente. Dumas aveva già visitato Napoli e Pompei circa trent’anni prima, rimanendo affascinato dalle rovine di Pompei, dove sperava di tornare, per viverci. Lo scrittore francese aveva poi fatto da sponsor e cronista della conquista del Meridione d’Italia ad opera di Garibaldi e fu ricompensato con la nomina a Direttore di Pompei e del Museo Nazionale di Napoli. Come premio ulteriore, Garibaldi gli mise a disposizione il Palazzo del Chiatamone, allora prospiciente Castel dell’Ovo, poi trasformato in Hotel e quindi demolito nel 1921. La nomina di Dumas fu avversata formalmente dal Direttore degli Scavi di Pompei in carica, il Principe di San Giorgio Spinelli. E destò dissenso tra gli intellettuali e gli studiosi napoletani che lamentavano a mezza bocca il fatto che Dumas vivesse a sbafo, sulle spalle della Comunità napoletana. Alla fine, Dumas fu il bersaglio di una sollevazione popolare che vide alcune centinaia di persone radunate e urlanti sotto il Palazzo del Chiatamone. Alexandre Dumas, in risposta, rinunciò ad ogni incarico pubblico, limitandosi alla propria attività di giornalista di successo in Francia, come corrispondente da Napoli e, soprattutto, dalla sua prediletta Pompei ove tornava ogni volta che poteva.