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Il nostro volto secondo Montanari

by Flavio Cioffi
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Non è semplice cogliere “Il nostro volto. Cento ritratti italiani in immagini e versi”, di Franco Marcoaldi e Tomaso Montanari (Einaudi, 2021). La chiave del libro, scrivono gli Autori nelle poche pagine iniziali di presentazione (introduzione? prefazione?), si troverebbe in un brano di Camus. Lo scrittore francese spera di poter ripercorrere, da vecchio, città e strade e paesaggi nostrani e alla fine morirvi, “circondato soltanto dalla bontà di quegli italiani conosciuti, che io amo”.

Si vuole infatti stabilire il nesso che lega il Paese all’identità degli Italiani. Al loro volto, appunto, “che si riconosce e si fa amare”. Identità, ma senza il veleno che la parola conterrebbe. “Un immaginario meticcio”, contrapposto esplicitamente a quello evocato dai “capi della destra xenofoba”. Un lavoro che richiama quello analogo di Carlo Levi e Janos Reismann del 1960: “Un volto che ci somiglia. Ritratto dell’Italia”.

Libro di poesia e di immagini, quindi, che si propone di raccogliere un “coro” poetico e storico che, in quanto tale, “dice la verità”. Di “ritrarre l’indole e il cuore degli italiani”. Di offrire più chiavi di accesso, cogliendo ciò che sta dentro (poesia) e mettendolo in connessione con la rappresentazione della sua esteriorità (immagine). La domanda finale è: “dove siamo noi, e dove il lettore, in questo ritratto…”?

Il “ritratto” si articola, come recita il titolo, in 100 immagini accostate ad altrettanti spunti poetici. Se non abbiamo contato male: 53 opere d’arte (da Bernini a Leonardo, dal Parmigianino a Modigliani); una ventina di foto di personaggi famosi (da Pannella a Carmelo Bene, da Moana Pozzi a Camilleri); il resto, immagini di cronaca, di storia e di colore (dai bambini che escono da una scuola elementare di Napoli ai partigiani che festeggiano la Liberazione a Venezia, da Ilaria Cucchi che mostra il volto tumefatto del fratello alla foto di Sacco e Vanzetti). Quanto ai versi, si passa dai grandi classici (Dante, Virgilio, Tasso, Ariosto, Boccaccio, Petrarca, Manzoni, Leopardi e tanti altri) a Luigi Tenco, De André, Petrolini e così via. I relativi accostamenti sono perlopiù evidenti (come la Tanto gentile e tanto onesta pare di Dante con L’Annunciata di Antonello da Messina o il chi vuol esser lieto sia di Lorenzo de’ Medici con Il baccanale degli Andrii di Tiziano), altri sono meno chiari (Interno di Sandro Penna con il Giovane modello addormentato durante la posa di Annibale Carracci), altri ancora opinabili (come la citata foto degli scolari napoletani con i Due temi svolti di Elio Pagliarini o Vittorio Gassman con il Rifacimento dell’Orlando Innamorato di Francesco Berni). Tutti recano comunque una sorta di titolo, una frase esplicativa.

E torniamo all’incipit. Non siamo infatti riusciti a cogliere il nostro volto, a scorgere la nostra “indole” e il nostro “cuore”, a capire “dove siamo noi”. Insomma, nel contesto estremamente gradevole, a tratti bello, sempre politicamente corretto (troppo?) che viene offerto, non ci siamo sentiti rappresentati veramente. Non abbiamo individuato una identità italiana “che si riconosce e si fa amare”.

Ma è colpa nostra. Avremmo dovuto scorrere le immagini e i versi prima di leggere gli obiettivi dell’opera. Ne avremmo così colto il fascino, che c’è e prende, e solo dopo ci saremmo detti: ah è questo che volevano dire? Ora la riguardo. E forse, fuori dalle suggestioni da Grand Tour e da qualche semplificazione pittoresca, avremmo capito.