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La città americana protagonista

by Ghisi Grütter
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Hudson River School è stato un movimento artistico americano della metà del XIX secolo di un gruppo di paesaggisti influenzati dal romanticismo (Thomas Cole, Frederic E. Church, Albert Bierstadt). I primi usavano dipingere nella valle del fiume Hudson, nella terra che collega New York alle Cascate del Niagara, mentre i pittori della seconda generazione ampliarono il raggio oltre i limiti della valle. I dipinti riflettevano tre temi dell’America di quel periodo: 1. la scoperta, 2. l’esplorazione e 3. l’insediamento umano. I paesaggi avevano un’impostazione pastorale ed erano caratterizzati da un ritratto realistico e talvolta idealizzato della natura quasi fosse un’ineffabile manifestazione di Dio. Si ispiravano a maestri europei quali Claude Lorrain, John Constable e J.M.W. Turner condividendo la loro ammirazione con gli scrittori contemporanei Thoreau ed Emerson.

La fase storica che si vuole esaminare è considerata una “seconda rivoluzione industriale” potenziata dalla disponibilità di terra, dalla diversità del clima e dalla varietà economica. La presenza di canali e fiumi navigabili è stata in grado di soddisfare i bisogni di trasporto industriale e l’abbondanza di risorse naturali è stata garanzia di estrazione di energia a basso costo. I trasporti hanno permesso agli Stati Uniti di diventare pionieri nell’espansione e nell’organizzazione, grazie allo spostamento della produzione dall’artigianato alla fabbrica, già innescato in precedenza. Intanto, i progressi tecnologici nella produzione di ferro e acciaio hanno consentito di migliorare la produttività e l’efficienza delle industrie. I nuovi mezzi di comunicazione – il telegrafo e il telefono – hanno permesso di coordinare le azioni anche a distanza. L’organizzazione del lavoro è stata innovata dalla “catena di montaggio” sviluppata da Henry Ford e dall’organizzazione scientifica del lavoro teorizzata da Frederick W. Taylor. Gli agglomerati industriali crebbero tramite la composizione di trust, ricavando una singola impresa da tante imprese in competizione. Le ferrovie federali sovvenzionate arricchirono investitori, agricoltori e lavoratori ferroviari e crearono centinaia nuove città e villaggi, mentre tutti i rami del governo cercarono di impedire ai lavoratori di organizzarsi in sindacati per evitare scioperi. In un contesto di alta competizione, il lavoro dell’artigiano “vecchio stampo” dovette cedere il passo ad ingegneri e lavoratori specializzati, mentre, il flusso persistente di immigrazione garantì la disponibilità di manodopera a basso costo, specie nel settore minerario e in quello manifatturiero.

Dall’inizio del Novecento l’attenzione degli artisti si è spostato dai paesaggi territoriali verso i luoghi di grandi attività, cioè le aree urbane. Anche nella pittura statunitense si assiste alla crescente importanza delle metropoli e delle nuove zone industriali. Inoltre in Europa le persecuzioni razziali, i regimi e le guerre costringevano parecchi artisti a emigrare negli Stati Uniti: architetti, pittori cineasti e così via. Nasce in tal modo una corrente pittorica chiamata Modern school americana, che elegge New York a nuovo centro dell’avanguardia artistica e si muove in due direzioni diverse. Da un lato abbiamo l’affermazione dell’astrattismo, con artisti quali Stuart Davis, Man Ray e Patrick Henry Bruce, dall’altro si va verso una strada autonoma rispetto a quella europea, e porta alle gallerie d’arte newyorkesi del brillante fotografo Alfred Stieglitz, che crea attorno a sé tutto un entourage: la famosa 291 poi la Anderson la Intimate e per ultima la An American Place fino alla sua morte nel 1946. Il collezionismo americano si differenzia da quello europeo per varie ragioni tra cui l’entusiasmo e la partecipazione attiva dei galleristi, convinti del loro gusto, della loro avventurosa ricerca, e del fatto che l’arte sarà utile anche socialmente. Stieglitz all’inizio del Novecento diventò un vero e proprio ponte tra la cultura europea e quella americana, organizzò mostre che diventarono famose e fu un vivace animatore dell’Armory show – International Exhibition of Modern Art, organizzata dall’Association of American Painters and Sculptors. Nel 1903 viene pubblicato il primo numero di Camera Work, prestigiosa rivista creata da Stieglitz per assicurare la diffusione delle opere del gruppo e per divulgare le avanguardie europee. Nel 1905, viene aperto un piccolo spazio espositivo – una sorta di Laboratorio – subito ribattezzato con il nome di 291 dal numero dell’immobile sulla 5ª strada, che s’imporrà come uno dei principali circoli culturali in una New York in pieno cambiamento. A poco a poco, questa grande metropoli, si afferma come culla dell’arte moderna americana e diventa un polo di attrazione per gli artisti europei. Nel 1908, Stieglitz espone dei disegni di Rodin: possenti studi di figure nude che non passano inosservate. Poi Matisse, che dopo tre mostre riesce a far apprezzare anche a New York, e perfino Cézanne, il cui influsso diventa notevole presso i giovani pittori americani. Le mostre permettono di avviare un dibattito sulle nuove strade che l’arte deve imboccare come l’idea che la fotografia non debba cercare di imitare la pittura ma trovare la sua specifica identità. Dopo la Prima guerra mondiale, molti fotografi americani adottano lo stesso procedimento. Questo è proprio il caso di Edward Steichen, Charles Sheeler o Paul Strand e, in seguito, di Edward Weston.

Nel 1913, si svolge a New York l’Armory show, una grande fiera di arte contemporanea. Stieglitz nella sua galleria riesce ad esporre alcune opere di Picabia, l’unico pittore francese venuto a presentare i suoi lavori all’Armory Show. Dopo questi eventi, il mercato dell’arte moderna si sviluppa enormemente negli Stati Uniti. Marcel Duchamp arriva negli Usa nel 1915, due anni dopo acquista un comune orinatoio di ceramica modello Bedfordshire, lo ruota di novanta gradi e vi scrive sopra “R. Mutt 1917”, per poi presentarlo una mostra organizzata a New York dalla Society of Independent Artists di cui è membro fondatore. Quel gesto scatena grandi reazioni (l’opera intitolata Fountain non verrà esposta), ma getterà le basi del ready made, diventando l’icona del XX secolo per antonomasia, grazie a una foto di Alfred Stieglitz e a un articolo apparso poco dopo sulla rivista d’avanguardia The Blind Man, di cui Duchamp era uno dei promotori.

Stieglitz sposerà la pittrice Georgia O’Keeffe (1887 – 1986) che diventa famosa negli anni Venti proprio per i quadri di grande formato con soggetto di panorami newyorkesi. Infatti, Georgia O’Keeffe, nata nel 1887 in una fattoria vicino a Sun Prairie, Wisconsin, in quegli anni aveva abbandonato l’acquerello per realizzare pitture a olio di grande formato con forme naturali e architettoniche in primo piano ispirate agli edifici di New York, come fossero viste attraverso una lente d’ingrandimento. Il panorama di Georgia O’Keeffe sull’East River con edifici innevati, dipinti con pennellate tremendamente morbide ma precise nel suo appartamento al 30° piano che guarda verso il basso, sembra esattamente come è oggi. L’arte non è datata, non più del paesaggio urbano. Queste opere contribuirono al suo successo, tanto che all’epoca era considerata una delle artiste più importanti d’America.

Il Precisionismo è stato il primo vero movimento di arte moderna negli Stati Uniti e ha contribuito all’ascesa del Modernismo americano. Prendendo spunto dal cubismo e dal futurismo, pur differenziandosi da essi, il Precisionismo ha celebrato il nuovo paesaggio americano di grattacieli, ponti e fabbriche. I Precisionisti hanno trovato ispirazione in tutte le diverse forme di architettura americana per ricercare una struttura sottostante la realtà e rappresentarla. Le opere d’arte sono caratterizzate da punti di vista e angoli inaspettati, con una messa a fuoco nitida e composizioni dinamiche. Per un periodo, Georgia O’Keeffe dipinse in stile Precisionista, raffigurando imponenti paesaggi urbani durante la sua permanenza a New York.

In questo periodo altri artisti hanno scelto la città come soggetto dei quadri. Charles Sheeler (1883-1965) non è direttamente riconducibile al circolo di Alfred Stieglitz, ma gli è molto vicino. Si tratta di uno dei più importanti esponenti della corrente pittorica del Precisionismo e anche un famoso fotografo, testimone della crescita industriale dell’America; infatti fu assunto negli anni Venti dalla Ford per ritrarre le proprie fabbriche. Nacque a Philadelphia dove studiò Fine Arts. Nel 1908 in un viaggio in Italia si innamorò della pittura di Paolo Uccello e di Piero della Francesca – dipinti “progettati come una costruzione” – e l’anno dopo si fermò a Parigi. Una volta tornato negli USA intraprese con successo la carriera di fotografo – con una Brownie da 5 dollari – concentrandosi su soggetti architettonici. Nel 1920 collaborò con il fotografo Paul Strand alle riprese di “Manhattan” un filmato sui grattacieli di New York. A differenza dei pittori dell’Hudson river, Sheeler andò nel New England a ritrarre fabbriche e canali.

Charles Demuth (1883 – 1935) fa parte del gruppo di Stieglitz, associabile alla corrente del Precisionismo. I suoi soggetti sono tipicamente americani come le grandi scritte sui muri e le cisterne sopra i tetti, insieme all’uso dei colori primari, impiegati in modo equilibrato. Alcune sue opere possono essere paragonate ai futuristi come Antonio Sant’Elia, ma contemporaneamente molto diversi “nell’armonia senza tempo”. Demuth era nato a Lancaster (Pennsylvania) e aveva studiato a Philadelphia dove aveva conosciuto William Carlos Williams cui rimase legato per tutta la vita. Ha studiato anche a Parigi diventando parte dell’Avant garde. Lì viene introdotto a Stieglitz e diventa membro permanente del gruppo con la sua prima mostra personale a New York nel 1926.

Joseph Stella (1877-1946) nato in Italia, immigrò negli Stati Uniti all’età di diciannove anni. New York City era per lui un nodo di potere estremamente coinvolgente. Rimase affascinato dall’ingegneria del ponte di Brooklyn, che ha dipinto per la prima volta nel 1918 e a cui è tornato nel corso della sua carriera: un monumento tecnologico contemporaneo che incarnava lo spirito moderno. Stella ritrae il Ponte con un dinamismo lineare mutuato dal futurismo italiano. Ne cattura l’altezza e la scala impressionante con una serie di prospettive frammentate, combinando viste spettacolari di cavi radianti, muratura in pietra, paesaggi urbani e cielo notturno. La grande scala dell’opera del 1939 – è alta circa 1.80 mt – evoca un altare rinascimentale, mentre lo stile gotico dei massicci archi a sesto acuto evoca le chiese medievali. Combinando architettura contemporanea e allusioni storiche, Stella ha trasformato il ponte di Brooklyn in un simbolo della divinità del XX secolo, quintessenza di vita moderna e di era delle macchine.

Anche Edward Hopper (1882/1967) è sempre stato interessato alla vita anonima della metropoli e dei paesaggi suburbani e alle desolate scene della città. Nei suoi quadri evoca oggetti domestici, figure isolate e strade vuote che sono rappresentate con un linguaggio impersonale. Essendo nato in una località dello stato di New York, conosce bene le piccole città su strade secondarie, cosicché il suo soggetto preferito diviene un certo tipo d’ambiente urbano. Hopper pone le sue figure in spazi vuoti illuminati da una luce cruda per accrescere l’angoscioso senso di solitudine e d’isolamento che pervade alcuni locali anonimi. In Domenica mattina presto l’immagine della facciata del palazzo esprime immobilità e sospesa partecipazione alla desolazione della scena americana.

Anche i pittori dell’iperrealismo s’interesseranno alla vita urbana celebrandone una certa disumanizzazione. Spesso i soggetti dei quadri sono insegne al neon, pubblicità, piccoli centri o addirittura i cosiddetti “non-luoghi”. L’iperrealismo si manifesterà come corrente artistica negli Stati Uniti alla fine degli anni Sessanta. Nella scena storico-artistica di quegli anni l’arte, o meglio l’antiarte, non rappresenta più se stessa ma deve non mostrare, non narrare, né tantomeno stupire, interrogandosi sulla sua esistenza. Nell’universo iperrealista convergono figure oggettuali, mezzi di comunicazione e paesaggi urbani, in cui la macchina da presa si muove tra scene di vita e situazioni metropolitane senza dare giudizi, semplicemente registrando ed indugiando in lunghe carrellate e blows-up su oggetti, insegne e situazioni urbane degradate con uno stile supervisivo ed anaffettivo. Poiché il giornalismo e la pubblicità hanno creato un’immagine a sé stante, l’iperrealismo tenta di sottolineare la profonda contraddizione del mezzo fotografico che “non mostra”, di un obiettivo che è cieco alla visione della realtà. Elementi essenziali del linguaggio figurativo iperrealista, sia in pittura sia in cinematografia, sono un’osservazione fotografica dell’oggetto, uno stile freddo e il più possibile oggettivo, una grande attenzione ai dettagli, un assoluto distacco psicologico dall’oggetto con la conseguente eliminazione delle scelte personali e soggettive, un’impressione complessiva di una specie di presenza dell’assenza.

Testo tratto parzialmente da La città protagonista nei dipinti americani e alcuni esempi europei in “Ticonzero” maggio 2021.

Immagini

  1. Georgia O’Keeffe, East river from Shelton Hotel, 1928
  2. Charles Sheeler, Classic Landscape 1931
  3. Charles Demuth, My Egipt, 1927
  4. Joseph Stella, The Brooklyn Bridge: Variation on an Old Theme, 1939
  5. Edward Hopper, Early Sunday Morning, 1930