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La lingua italiana tra lo Stupor Mundi e il Ghibellin Fuggiasco

by Federico L. I. Federico
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stupor mundi

Passato il giorno del Dantedì, senza voler dare la stura a polemiche letterarie – che non sapremmo condurre avanti – ci siamo ripromessi di gettare un sasso nello stagno della storia, riservandoci quest’articolo e parlando di un primato che sembrava esclusivo di Dante Alighieri, ma che oggi è messo in discussione dall’Imperatore Federico II.

Lo Stupor Mundi, più noto alle cronache della storia d’Italia come Federico II, come si sa con certezza è nato sul suolo italiano, a Jesi nelle Marche. La madre, Costanza d’Altavilla, mentre era in viaggio verso Napoli – per poi raggiungere Palermo – fu colta dalle doglie e lo partorì nell’anno 1194 in una tenda, montata sulla pubblica strada. Si decise di fare così affinché il popolo, riunito intorno alla tenda durante il parto, fosse testimone dell’evento. Si volle fugare infatti ogni dubbio sulla legittimità della nascita di Federico, data l’età avanzata della madre Costanza. C’erano in ballo questioni dinastiche di non poco momento, essendo egli il nipote diretto di Federico Barbarossa e il figlio del Re di Sicilia Enrico IV.

Federico fu incoronato appunto Re di Sicilia a 4 anni, nel 1198. Egli trascorse l’infanzia tra le Marche e la Sicilia, ricevendo una educazione intensa e rigorosa, idonea per un personaggio del suo rango. Visse da grande monarca fino a divenire Imperatore, tenendo però nel cuore il Meridione d’Italia. Non a caso gli altri suoi titoli erano Duca di Puglia e Duca di Calabria. E il grande Re svevo, infine, alla sua morte prematura ebbe i funerali a Foggia e poi fu tumulato nella Cattedrale di Palermo in una tomba monumentale.

Per tutti questi motivi noi possiamo affermare che Federico II di Hohenstaufen fu, tutto sommato, un grande sovrano italiano. Per scelta, soprattutto se guardiamo alla sua vita. Ma c’è un’altra cosa che rende ancor di più “italiano” Federico II, secondo una corrente del pensiero letterario moderno, ma di radici antiche, la quale gli attribuisce il merito della nascita della Lingua Italiana.

E, però, a questo punto insorgono i Dantisti di ogni latitudine, i quali rivendicano il fatto che Dante Alighieri, per i suoi meriti oggettivi di poeta, filosofo e studioso, è passato alla storia come il “Sommo Poeta”, anzi come il “Poeta” italiano per antonomasia. In assoluto il più grande linguista, scrittore e diffusore della lingua italiana nel mondo, non solo quello letterario.

Cerchiamo ora di capire un po’ meglio la vicenda.

I due grandi vennero alla luce ad una settantina d’anni di distanza l’uno dall’altro. Quindi non furono proprio due contemporanei, perché Federico II nacque e visse ben prima di Dante. E li divideva l’origine, nobiliare nel caso di Federico II e di fascia bassa, nella élite della società fiorentina del tempo, nel caso di Dante degli Alighieri. Di Dante non si sa nemmeno con certezza la data di nascita, ma la si colloca nell’anno 1265. E la sua vita fu costellata di vicende amare e discusse, che lo portarono ad essere un esule – condannato in contumacia al rogo – costretto a vivere lontano dalla sua amata Firenze, per motivi personali e politici, fino alla sua morte da “Ghibellin fuggiasco”, come ebbe a scrivere secoli dopo il poeta romantico Ugo Foscolo.

Ma quali sono i meriti speciali di Federico II verso l’Italiano, inteso come lingua?

A questo punto dobbiamo premettere che l’Imperatore sapeva parlare sei o sette lingue, tra cui l’arabo, il greco e il latino, oltre lo spagnolo e il tedesco, ma preferiva esprimersi – oralmente e in forma scritta – nel Siciliano aulico che al suo tempo, ben prima di Dante dunque, si utilizzava letterariamente in Sicilia. L’isola, che allora ospitava la Corte sveva, era infatti un crocevia del Mediterraneo di grande levatura culturale. E in Sicilia si era sviluppata una famosa scuola poetica, protetta e favorita da Federico II, il quale era un trattatista importante e un pensatore, ma componeva anche poesie amorose di gusto provenzale. Le sue poesie era contaminate dalla fervida Scuola Poetica Siciliana, che ovviamente ne rimaneva contaminata. I poeti della Scuola siciliana si esprimevano anche essi in Siciliano aulico che, in sostanza, era un discreto volgare italiano, di cui si conservano numerose testimonianze. Dunque, se tanto mi dà tanto…

Insomma, tra i due big il confronto è forte. E siamo ormai ai tempi supplementari.