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La mostrificazione di Renzi

by Pietro Spirito
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Matteo Renzi non fa assolutamente nulla per risultare simpatico. E ci riesce bene, con grande disinvoltura. Nel suo recente libro “Il mostro. Inchieste, scandali e dossier. Come provano a distruggerti l’immagine”, Piemme 2022, comincia il suo ragionamento politico così: “Sono un uomo felice. Spesso proviamo vergogna davanti alla felicità. È un concetto strano: viviamo in un mondo in cui il senso del pudore è totalmente rimosso in numerosissimi campi. Però se uno afferma ad alta voce di essere felice, sembra quasi che susciti imbarazzo. Io sono felice. E non mi vergogno a dirlo”.

Il libro, scritto costantemente con in timbro ironico della sapidità fiorentina, è un durissimo atto di accusa verso una parte della magistratura, quella politicizzata, che esercita la giustizia in base agli equilibri corporativi derivanti dall’incastro e dagli equilibri tra le diverse correnti. Ma la colpa delle distorsioni che si sono determinate nei passati decenni viene intestata innanzitutto alla classe politica, che troppo spesso, per convenienza o per viltà, ha chinato il capo. Anche l’opinione pubblica è parte integrante di questo esito. Sino a quando le sentenze della Cassazione varranno meno di un tweet, sarà necessaria una battaglia civile prima che giudiziaria.

Matteo Renzi ripercorre in modo puntuale le tante vicende nelle quali ha dovuto incrociare le lame con la magistratura: in particolare le inchieste sulla Fondazione Open e gli arresti dei genitori. Viene fuori il ritratto di una macchina della giustizia contraddittoria, farraginosa e lenta. Solo per fotocopiare gli atti dell’inchiesta sulla Fondazione Open (novantaquattromila pagine), l’imputato deve pagare quattromila euro.

Negli anni della sua fulminante ascesa, prima della sua rapida caduta, Matteo Renzi non fa nulla per evitare di entrare in contrapposizione con la magistratura. Da Presidente del Consiglio introduce un tetto agli stipendi e riduce le ferie, da 45 a 30 giorni all’anno.

Quando viene il momento del declino, si determina il processo di mostrificazione: quello che era un boy-scout di provincia, osannato come il salvatore della patria, diventa un lupo di Wall Street. Quello che altri politici fanno, senza per questo diventare oggetto di attenzione giudiziaria, diventa oggetto di scandalo quando è Renzi a comportarsi in questo modo, a cominciare dalla conferenza internazionali pagate con livelli elevati di remunerazione. La battuta più efficace viene dagli amici di sempre: “Ma davvero pagano per ascoltarti? Dovrebbero allora pagare noi, per averti ascoltato sin da piccolo”.

Poi Matteo Renzi rivendica la sua azione politica nell’esercizio delle responsabilità istituzionali e dell’attività parlamentare, a cominciare dalla impostazione di scelte di politica energetica che sarebbero state molto utili alla luce di quello che è successo recentemente. Per evitare di dipendere dai russi e dagli arabi, va sfruttato anche il potenziale energetico nazionale, così come del resto aveva fatto Enrico Mattei nel secondo dopoguerra.

Le opposizioni populiste alla realizzazione degli investimenti energetici sono emblematiche di una fase della politica nazionale. Barbara Lezzi, poi ministra del Governo Conte 1, dichiara a proposito del gasdotto in Puglia: “Voglio sfidare chiunque a stendere un asciugamano sotto un gasdotto”. Ora, se ci si reca nella spiaggia di Melendugno, quella che sta sopra il gasdotto, si scopre che ha conservato la bandiera blu e resta meta primaria del turismo balneare. Lì sotto ci passa il gas, e i duecento ulivi abbattuti (200, non 10.000 come dicevano i grillini) sono stati rimpiazzati.

Anche la guerra ucraina evoca per Renzi l’assoluta opportunità di aver smontato l’alleanza populista giallo verde, contribuendo poi in modo decisivo all’incarico per il nuovo governo affidato a Mario Draghi: al momento della invasione russa non c’era fortunatamente in Italia un governo con tentazioni che fossero estranee all’orizzonte europeo ed all’alleanza atlantica. Winston Churchill diceva che la Russia è un rebus avvolto in un mistero che sta dentro ad un enigma, significando con ciò la difficoltà a relazionarsi con Mosca. Le tentazioni leghiste e pentastellate, orientate verso la Russia sin dal primo governo Conte, avevano preoccupato le cancellerie occidentali. La rottura di quella alleanza di governo ha riportato il nostro Paese nell’alveo delle tradizionali alleanze. L’Italia non si faceva fortunatamente trovare – in una fase delicata delle relazioni internazionali – in un assetto che avrebbe potuto determinare più di una difficoltà.

L’elezione con un secondo mandato a Presidente della Repubblica di Sergio Mattarella ha consentito di blindare un sistema di alleanze saldamente ancorate alla matrice europea ed occidentale, mentre anche in questa recente tornata i due poli del populismo hanno tentato di dettare una linea differente, attorno alle candidature di Franco Frattini ed Elisabetta Belloni. E Renzi non se la sente di escludere che questo asse possa prima o poi riproporsi, nei mesi che ci separano dall’appuntamento delle prossime elezioni politiche.

Resta ancora centrale nell’agenda della politica nazionale la questione morale, con tutti i fariseismi che si sono dipanati nel corso degli anni successivi a Tangentopoli. Su questo tema Matteo Renzi cita Benedetto Croce: “L’onestà politica non è altro che la capacità politica: come l’onestà del medico e del chirurgo è la sua capacità di medico e di chirurgo, che non rovina e assassina la gente con la propria insipienza condita di buone intenzioni e di svariate e teoriche conoscenze”.

Quello che era, e resta, un requisito indispensabile, ma incapace di guidare un processo di selezione della classe dirigente con questa sola caratteristica, vale a dire l’onestà, ha generato, nella solitudine della sua declamazione, la rarefazione dei criteri della competenza, delle abilità politiche, della visione strategica.