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La narrativa russa della guerra 2: i confini non sono legittimi?

by Luigi Gravagnuolo
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Cartine dall’Atlante Storico Treccani 2007

Precedenti: https://www.genteeterritorio.it/la-narrativa-russa-della-guerra-1-lucraina-non-e-una-nazione/

 

Prendete un qualsiasi atlante geografico di solo cinquanta anni fa e aprite le pagine dell’Europa. C’erano Stati che non esistono più. La Jugoslavia, la Cecoslovacchia; altri avevano confini diversi dagli attuali. Così per quanto riguarda l’Africa, l’Asia, il Medio Oriente. Più di tutte, però, nell’ultimo trentennio è cambiata la fisionomia geopolitica dell’Europa Orientale, ivi inclusi i Balcani. Questo solo per dire che, anche dopo l’istituzione dell’Organizzazione delle Nazioni Unite (O.N.U.), punto di riferimento del diritto internazionale, le delimitazioni dei confini degli Stati sono stati e tuttora sono suscettibili di modifiche.

Cinquanta anni fa l‘Ucraina c’era già, ma faceva parte dell’U.R.S.S. ed i suoi confini con la Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa (R.S.F.S.R.) erano confini amministrativi, non politici; un po’ come oggi in Italia esistono dei confini tra le diverse Regioni. Se poi prendiamo un atlante di inizio Novecento, vediamo che invece allora non esisteva una Repubblica o un’entità politico-amministrativa detta Ucraina. Quella terra era parte dell’Impero russo, punto.

L’Impero russo crollò nel ‘17. Nel ‘18, per volontà esplicita di Vladimir Il’ič Ul’janov Lenin, fu riconosciuta l’indipendenza della Repubblica Popolare Ucraina, con una prima definizione dei suoi confini stabilita a Kursk nel maggio del ‘18. In quella delimitazione non era inclusa la Crimea. Nel ‘22 l’Ucraina fu annessa all’U.R.S.S. come Repubblica Socialista Sovietica Ucraina (R.S.S.U.). I suoi confini subirono diverse modifiche fino ad assestarsi nel ‘27.

Da allora e fino al ‘91, crollo dell’Unione Sovietica, il perimetro della R.S.S.U. restò intatto, salvo una modifica per nulla secondaria. Nel ‘54 Nikita Chruščëv con atto unilaterale cedette la Penisola Crimea alla R.S.S.U. Ma fu più una decisione amministrativa che politica; sia l’Ucraina che la Crimea, infatti, erano parti dell’U.R.S.S.

Quando nel ‘91 infine crollò l’Unione Sovietica, la ex Repubblica Socialista Sovietica Ucraina, comprendente la Crimea, proclamò la sua indipendenza dalla Russia. È il caso di ricordare come, contestualmente alla dichiarazione di indipendenza, il 24 agosto del ‘91, la nuova Repubblica affermava solennemente di volersi associare all’Unione Europea. Aspirazione proclamata alla luce del sole e nota ovviamente anche ai governanti della Russia.

I confini dell’Ucraina, così come attualmente perimetrati, sono dunque il frutto di successivi aggiustamenti amministrativi interni all’ex Unione Sovietica piuttosto che espressione di un unico spazio etnico-culturale. D’altra parte, questa è una condizione comune a tutti gli Stati dell’Europa Orientale, con propaggini fino al Caucaso ed all’area Transcaucasica, laddove negli stessi territori convivono, spesso in modo conflittuale, nazionalità diverse per lingua, fede, costumi e cultura.

Ma tant’è, nel ‘91, con l’assenso dell’ultimo leader dell’Unione Sovietica, Michail Gorbačëv, l’O.N.U. riconosceva alla Repubblica Ucraina i confini che essa oggi rivendica, compresa la Crimea.

Le cronache storico-diplomatiche ci raccontano di un accordo verbale – di cui quindi non c’è traccia scritta – stipulato in quello stesso anno, in margine agli incontri che portarono alla sottoscrizione dei trattati di fine della Guerra Fredda, tra Gorbačëv e Reagan, Presidente degli U.S.A. Sulla base di tali accordi l’ex Unione Sovietica si impegnava a smantellare il Patto di Varsavia e gli U.S.A. a non estendere la N.A.T.O. verso Est di un solo centimetro rispetto all’area di sua competenza del periodo della Guerra Fredda. Viceversa, già dalla fine degli anni ‘90 e fino alle settimane scorse, con l’adesione di Svezia e Finlandia, l’alleanza militare atlantica ha esteso progressivamente verso Est le zone da essa protette militarmente, fino ad accerchiare di fatto la Federazione Russa.

Sulla scorta di tanto, oggi Vladimir Putin denuncia l’imbroglio fraudolento perpetrato dall’Occidente nei confronti della Russia e con esso anche la legittimità dei confini del ‘91, pur accettati dalla Federazione Russa sulla scorta di quelle garanzie poi disattese.

C’è di più, dopo l’Euromaidan del 2014, si scatenò una vera e propria guerra civile nel Donbass e nel Luhansk con i Russi che intervennero a protezione dei russofoni ivi residenti ribellatisi a Kyev.

Sotto l’ombrello dell’OCSE furono poi sottoscritti a Minsk due protocolli di cessate il fuoco con impegni reciproci tra le parti. Quegli accordi non sono stati mai rispettati; secondo i Russi per responsabilità ucraina e secondo gli Ucraini viceversa. Sta di fatto che i Russi considerano di fatto illegittimi i confini attuali dell’Ucraina, tant’è che hanno riconosciuto le due repubbliche del Luhansk e del Donbass e che tutt’oggi hanno introdotto il rublo come unica moneta ufficiale e consegnato passaporti russi ai residenti nelle zone da essi occupate nelle scorse settimane. Ma per la verità, questo della presunta illegittimità dei confini, ergo della legittimità delle pretese russe su Donbass, Luhansk e Crimea, non è oggi un tema centrale e ricorrente nella propaganda russa. Piuttosto da parte moscovita si insiste sull’illegittimità del governo ucraino, frutto a suo dire di un golpe che portò nel ‘14 alla defenestrazione del legittimo capo del governo, il filorusso Viktor Yanukovich. La ragione di tanto è banale, la Russia ritiene che non solo le regioni russofone dell’Est ucraino e la Crimea, ma tutta l’Ucraina sia parte della Grande Russia. I suoi confini oggi riconosciuti internazionalmente perciò le starebbero anche bene, purché l’Ucraina fosse governata da un fantoccio della Russia, com’è in Bielorussia con Lukašėnka.

Fatto sta che gli Ucraini non sono d’accordo. E vediamo le loro ragioni.

Dopo il crollo dell’U.R.S.S. gli arsenali nucleari da essa dislocati sul territorio ucraino erano restati sotto il controllo della Repubblica di Kyev, in pratica l’Ucraina si trovava ad essere il terzo Paese al mondo per dotazione nucleare. La cosa impensieriva non poco il mondo intero, così il 5 settembre del ‘94 Russia, Regno Unito, U.S.A. ed Ucraina sottoscrissero il celebre Memorandum che porta il nome del luogo dove fu sottoscritto, Budapest. Con esso l’Ucraina si impegnava a cedere alla Russia tutto il suo arsenale nucleare e la Russia a riconoscere i confini, l’indipendenza e la sovranità di Kyev su tutto il territorio delimitato nel ‘91, compresa la Crimea. La Russia, allora governata da Eltsin, mentre sottoscriveva quel memorandum sapeva bene della volontà dell’Ucraina di associarsi all’Unione Europea, avendolo i suoi governanti dichiarato solennemente già dal ‘91. Il Memorandum di Budapest non fu ‘verbale’, fu scritto e sottoscritto dalle parti ed anche rispettato dagli Ucraini, che effettivamente consegnarono alla Russia gli armamenti nucleari. Regno Unito ed U.S.A. si fecero garanti degli accordi.

Le intese di fine secolo tra gli eredi dell’Unione Sovietica durarono ben poco. Prima la dissoluzione della Jugoslavia, poi le turbolenze nei Paesi dell’Europa orientale, innescarono una nuova spinta verso il confronto-scontro tra Occidente e Russia.

Terrorizzate dalla prospettiva di poter tornare sotto il giogo russo, una dopo l’altra le repubbliche nate sulle ceneri dell’Unione Sovietica presero a guardare all’Unione Europea ed alle sue costituzioni liberal-democratiche, chiedendo altresì l’adesione alla N.A.T.O. La Russia per parte sua cominciò a sentirsi defraudata della sua storica area d’influenza e mise in atto pressioni sempre più forti per frenare l’emorragia filoccidentale. E più la Russia minacciava, più i nuovi Stati chiedevano aiuto e protezione alla N.A.T.O.

Nel 2008, per stroncare le aspirazioni filoccidentali della Georgia, Putin mosse il suo esercito contro quello Stato. L’operazione militare in quel caso durò solo 12 giorni e portò alla formazione di due staterelli filorussi, popolati da russofoni, l’Abkhazia e l’Ossezia del Sud. Il supporto dell’Occidente al governo di Tblisi fu balbettante ed i confini della Georgia furono modificati con l’assenso di fatto della comunità internazionale.

Anche nel ‘14, come si è visto, la Russia ha annesso la Crimea e separato dall’Ucraina le zone del Sud Est senza che l’Occidente avesse battuto ciglio, salvo le scontate e deboli sanzioni economiche.

Forse Putin il 24 febbraio scorso, invadendo l’Ucraina immaginava un epilogo analogo, magari con l’annessione dell’intera nazione. Stavolta però è sbattuto contro una irriducibile resistenza del popolo e dell’esercito ucraini. Per parte sua l’Occidente ha reagito con inusitate unità ed energia. Né avrebbe potuto fare altrimenti: dopo l’ignominiosa fuga dall’Afghanistan, se gli U.S.A. avessero abbandonati a se stessi anche gli Ucraini, chi mai più nel mondo si sarebbe fidato della loro protezione?

Chiudiamola qua. Ebbene sì, i confini di quell’area non sono, né devono essere un tabù inviolabile. Se ne può e deve discutere in sede diplomatica. Ma altro è arrivare ad una loro ridefinizione pacifica, ad esempio sul modello della separazione del ‘93 tra Repubblica Ceca e Slovacchia, altro è farsi forti della sproporzione delle forze a proprio vantaggio per imporre con le armi le proprie pretese al vicino più debole ed al mondo intero.