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Le università campane e la classifica del Censis

by Piera De Prosperis
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Le università campane sono in fondo alle classifiche stilate per il 2019-2020 dal Censis, il Centro Studi Investimenti Sociali che ogni anno certifica lo stato di salute degli atenei. Si tratta di un’articolata analisi del sistema universitario italiano attraverso la valutazione degli atenei statali e non statali, divisi in categorie omogenee per dimensione.

I criteri riguardano i servizi offerti (numero pasti erogati/iscritti, numero di posti e contributi alloggio/iscritti residenti fuori regione); le borse di studio erogate (contributi spesa per interventi a favore degli studenti e borse di studio, premi di laurea, premi di studio/totale degli iscritti); le strutture disponibili (posti aula, nelle biblioteche, nei laboratori scientifici/iscritti); la comunicazione e i servizi digitali; l’internazionalizzazione (iscritti stranieri/totale degli iscritti, corsi in lingua inglese e molto altro); occupabilità (laureati nel 2017 occupati a un anno dal conseguimento del titolo). Infine, la disponibilità della ‘carriera alias’, per agevolare le persone in transizione di genere. (Fonte Censis)

La funzione di queste classifiche è ovviamente quella di orientare migliaia di studenti pronti a intraprendere la carriera universitaria.

Risultato per le università campane? La Federico II chiude la classifica dei mega atenei (oltre 40.000 iscritti). La Parthenope e l’Orientale in fondo alla classifica dei medi (da 10.000 a 20.000). L’Università del Sannio penultima tra i piccoli. Solo l’Università di Salerno si piazza al sesto posto tra i grandi (da 20.000 a 40.000), risalendo otto posizioni rispetto all’anno scorso.

Tra i mega atenei statali mantiene la prima posizione l’Università di Bologna. Seguono quella di Padova e quella di Firenze. Poi la Sapienza di Roma, Torino, Pisa. Ultima, come detto, Napoli con la Federico II, preceduta da Catania e Bari terzultima. Settima la Statale di Milano.

Perugia è ancora al vertice della classifica dei grandi atenei statali. Quindi, nell’ordine, l’Università della Calabria, Parma, Pavia, Modena e Reggio Emilia, Salerno. Penultima l’Università di Roma Tre e chiudono la classifica, ex aequo, le Università della Campania e di Chieti e Pescara. Cagliari scivola in nona posizione.

Trento guida la classifica dei medi atenei statali. Chiudono il ranking, rispettivamente all’ultimo, penultimo e terzultimo posto, l’Università di Napoli L’Orientale, l’Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro e l’Università di Napoli Parthenope.

Sul fronte delle grandi università private, in prima posizione c’è la Bocconi, seguita dalla Cattolica. Tra le medie la Lumsa e solo ad un passo la Luiss. (Fonte Ansa).

Per i rettori delle Università campane i criteri di valutazione adottati dal Censis sono errati perché fanno riferimento a dati di contesto indipendenti da noi (Elda Morlicchio, rettore dell’Orientale). Prendiamo il problema della residenzialità, con 150 mila studenti dovrebbero esserci molte residenze, anche per attrarre ragazzi dall’estero: un tema che chiediamo con forza sia messo in agenda (Gaetano Manfredi, rettore della Federico II).

Nonostante il rischio del palleggio delle responsabilità e l’oggettiva resilienza delle Istituzioni campane a fare rete, da una riflessione sui dati sembra effettivamente emergere che le difficoltà dello studio universitario a Napoli sono anche legate a croniche mancanze logistiche, infrastrutturali, economiche e di prospettiva. Basti pensare al criterio dell’occupabilità. Una cosa è trovarsi nella capitale economica d’Italia e un’altra nel profondo Sud.

Gli indicatori a cui il Censis invita ad aderire rimandano all’immagine di luoghi di studio europei in cui è facile, ad esempio, studiare nelle biblioteche di facoltà fino a tarda ora, in cui le mense sono economiche e di buona qualità, in cui le strutture sono numerose ed accoglienti, in cui persone in transizione di genere vengono seguite e agevolate nella fruizione dei servizi.

Eppure, noi abbiamo una grande tradizione di studio e su questo siamo tutti d’accordo. Chi si laurea a Napoli ha certamente una solida base libresca, che può competere con quella fornita da tutte le università posizionate prima delle nostre. Ma i tempi sono cambiati, le esigenze sono mutate, nei ragazzi la capacità di studio è diversa e richiede luoghi, ritmi e tipologie di apprendimento adeguati al modo diverso di acquisire informazioni.

Il divario tra nord e sud del Paese e nord e sud dell’Europa è sempre più drammatico e il dato Censis è tanto più significativo perché evidenzia non solo l’affanno delle nostre istituzioni accademiche ma, in effetti, anche le difficoltà generazionali dei nostri ragazzi che vivono in una realtà di servizi e di opportunità distante anni luce da quella offerta ai loro coetanei del nord dell’Italia.