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Piano Mattei, ma con gli spiccioli non si compra l’Africa!

by Luigi Gravagnuolo
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Ph. Governo.it

 

La visita di stato di due settimane fa della nostra Premier in Egitto, accompagnata e supportata dalla Presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, ha riportato all’attenzione dei media il Piano Mattei per l’Africa, sul quale Giorgia Meloni tanto si è spesa e si sta spendendo. Sarà efficace? Servirà all’Italia e all’Europa? Vediamo.

Alcune intuizioni sono apprezzabili, come ad es. la rilevanza data alle politiche nel campo dell’istruzione e della formazione professionale, oppure singoli progetti su salute, agricoltura, acqua ed energia. Per l’agricoltura il Piano prevede proprio in Egitto di “sostenere in un’area a 200 chilometri da Alessandria la produzione di grano, soia, mais e girasole, con investimenti in macchinari, sementi, tecnologie, e nuovi metodi di coltivazione”. Come pure va riconosciuto che di per sé – con 46 Stati africani, Unione Africana, Unione Europea e molti osservatori arabi presenti – la Conferenza è stata un successo per il nostro Governo e per la Premier. Nell’insieme tuttavia il Piano è deludente.

Cominciamo dai soldi. Secondo l’ONU, il continente africano avrebbe bisogno di 500 miliardi! Il nostro Governo ha appostato 5,5 miliardi di euro per sostenere gli assi strategici di intervento in Africa. L’UE, per parte sua, si è già impegnata per 150 miliardi.

I 5,5 miliardi Mld € messi a disposizione dall’Italia sono con tutta evidenza un’inezia. Vero che saranno investiti per interventi puntuali – tra i quali quello sopra citato in Egitto – e che ad essi potrebbero aggiungersi investimenti da parte di società pubbliche o private già operanti in Africa, ma la cifra non è tale da poter supportare le velleità di un protagonismo italiano nel continente. Tanto più che i 5,5 miliardi sono stati racimolati grattando capitoli di bilancio già destinati: 3 miliardi, nemmeno disponibili subito trattandosi di dotazione pluriennale pari a 840 miliardi annui, prelevati dal Fondo italiano per il clima; 2,5 miliardi dal Fondo per la cooperazione e lo sviluppo, in parte già impegnati.

L’esiguità delle risorse messe sul tavolo stride vistosamente con gli ambiziosi obiettivi del Governo, che in sintesi sono tre: fronteggiare le difficoltà di approvvigionamento energetico dell’Italia post rottura con la Russia; contenere i flussi migratori; contrastare la penetrazione in Africa di Cina, Russia, Turchia ed Emirati Arabi.

Cominciamo da qui. Profittando delle politiche di ritiro dal continente africano decise da Donald Trump durante la sua presidenza USA e della crisi della presenza francese nel continente, Cina, Russia, Turchia ed Emirati stanno poco alla volta, ciascuno con le sue metodologie, impadronendosi delle leve del potere in tutta l’Africa. L’Unione Europea se n’è accorta – o comunque ha reagito – con colpevole ritardo ed ora riprendere le posizioni è decisamente costoso e rischioso. Difficile immaginare che l’attivismo senza soldi della nostra Premier possa dare frutti meno che effimeri.

Quanto alle politiche governative di contenimento dei flussi migratori, si sono finora dimostrate non solo inefficaci, ma anche sbagliate nel merito. A noi mancano braccia nelle campagne e nei lavori manuali. Gli immigrati servono all’Italia più di quanto l’Italia non serva ad essi. Giusto porsi il problema della selezione degli arrivi: accogliamo quelli che ci spediscono i mafiosi dei barconi o li scegliamo noi, magari dopo che abbiano compiuto un periodo di formazione nei loro Paesi? Ma a questo scopo occorrerebbe istituire con urgenza corridoi legali di immigrazione, non spendere soldi per improbabili centri di detenzione all’estero.

Per non dire delle contraddizioni delle scelte. Mentre col Piano Mattei si decide di investire importanti risorse in Algeria, Egitto e Mozambico onde favorirvi la produzione agricola ed agroalimentare, impegnandosi nel contempo a garantire l’apertura dei nostri mercati ai loro prodotti, quando i nostri ‘trattori’ scendono in piazza e chiedono la chiusura delle nostre frontiere ai prodotti provenienti dall’estero e il nostro Ministro dell’Agricoltura dà loro ragione e si impegna in tale direzione!

Per quanto attiene all’approvvigionamento energetico, invece stiamo messi meglio. Non tanto però da riuscire a garantirci le forniture pattuite negli ultimi tre anni qualora si verificassero, com’è probabile, rivolgimenti politici negli Stati fornitori, notoriamente instabili.

In conclusione: con pochi spiccioli non si compra l’Africa.

Alla Conferenza al Senato di Roma, il Presidente dell’Unione Africana, Moussa Faki Mahamat, già di per sé corrucciato perché a suo dire non consultato ex ante sui contenuti del Piano, è stato chiaro: “Non siamo mendicanti, non tendiamo la mano!”. E, per quanto attiene i migranti: “L’emigrazione dei giovani è un dramma per l’Africa stessa, non la incoraggiamo; ma no a barriere securitarie che sono barriere di ostilità!