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Torre di Cetara, la sentinella del Ducato Amalfitano

by Federico L. I. Federico
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A Cetara si può arrivare dal mare o percorrendo da Amalfi verso Salerno la Strada Statale SS 163 Amalfitana. La via più comoda e veloce però è quella che, all’inverso, parte da Vietri in direzione di Amalfi, continua un po’ tortuosa fino alla punta di Fuenti e attraversa il vallone dell’Albore. Così si passa in quota sottostante i paesi di Raito e Albori e si continua poi fino a raggiungere Cetara. Ma l’arrivo viene annunciato da una sentinella: la sua Torre, alta sul livello del mare. Quella Torre svolgeva davvero un essenziale ruolo di sentinella sul mare e “contro” la rivale di Amalfi di sempre, Salerno. Cetara con la sua Torre era infatti parte dell’ultimo possedimento amalfitano sulla costa e fungeva da confine dell’antico Ducato e della Diocesi amalfitana. Anzi i Cetaresi erano contribuenti del Vescovo d’Amalfi, il quale esercitava da tempo immemore il proprio diritto dello “jus piscariae”, una sorta di decima sul pescato di quel tratto di mare pescoso. Per farla breve: una tassa in natura. Poco dopo l’avvento dei Normanni sul trono del Regno di Napoli – siamo quindi intorno agli anni venti/trenta del Millecento, quando fu fondato il Regno di Napoli – il borgo di Cetara fu trasferito dalla dominazione amalfitana alla “sfera di influenza” dell’abbazia benedettina di S. Maria di Erchie. Poi fu passato alle dipendenze dell’Abbazia di Cava dei Tirreni.

Il 1534 fu un anno terribile per il borgo di Cetara. Si verificò l’evento più importante, ma anche disastroso, della storia appartata dei Cetaresi, dediti soprattutto alla pesca e alla conservazione e commercio del pescato. L’evento drammatico fu la conquista del borgo da parte dei Turchi che, con il Pascià Sìnan a capo di una flotta di una ventina di galee, occuparono l’abitato e ridussero in schiavitù almeno trecento abitanti. Altre centinaia di Cetaresi furono invece sgozzati in loco, mentre i superstiti sciamarono in fuga sui monti lattari e verso Amalfi. Ed è appunto da questo luttuoso episodio che scaturì la decisione della costruzione di una Torre più poderosa e armata, vista la scarsa difesa che era stata garantita dalla antica e piccola torre già esistente vicino al borgo abitato. Nacque così la torre cetarese più o meno come la vediamo ancora oggi: una torre anomala, in quanto è costituita di fatto da due torri sovrapposte. La prima, più antica perché di epoca angioina, costituì la base circolare sulla quale in epoca vicereale fu innestata un’altra torre, stavolta quadrilatera, anche essa atipica, rispetto alla tipologia specifica delle Torri vicereali, perché a doppia altezza.

Questa singolarità si deve al fatto che la precedente torre angioina era stata costruita direttamente sull’arenile. Ciò comportava una modesta altezza complessiva sul livello del mare e, quindi, una quota troppo bassa del suo terrazzo di copertura, da dove si dovevano effettuare gli avvistamenti dei navigli in rotta verso la costa amalfitana. Inoltre, per la “nuova” Torre si poneva la necessità di inserirsi con efficacia nella rete difensiva delle torri di difesa d’epoca vicereale che erano – senza alcuna interruzione – collegate tra loro a vista da Gaeta fino a S. Benedetto del Tronto lungo le migliaia di chilometri di costa del Regno di Napoli. L’organismo architettonico che derivò da questa sovrapposizione però – oltre a conservare una propria accentuata immagine di struttura fortificata – conserva una leggibile autonomia formale delle due strutture difensive. D’altra parte, esse furono sovrapposte soltanto per sopravvenute esigenze strategiche.

La Torre cetarese è anche ricca di Storia propria. Essa fu torre di difesa, ma anche prigione all’occorrenza. E vale la pena far sapere al Lettore di Touring che tra i prigionieri più famosi rinchiusi nella Torre vi fu addirittura il figlio di Re di Napoli Ferrante d’Aragona, Federico, a sua volta poi divenuto Re di Napoli. Qualche secolo dopo, con la scomparsa del Regno delle due Sicilie la Torre di Cetara fu “cartolarizzata” e cioè venduta a privati, per fare cassa, dal nuovo Regno d‘Italia, indebitato fino al collo. Niente di nuovo sotto al Sole, dunque. Da allora, varie vicissitudini e cambi di proprietà hanno causato danni imponenti alla Torre fino all’anno 1998, in cui fu acquistata dal Comune di Cetara. E la Torre di Cetara connota marcatamente ancora oggi il paesaggio urbano cetarese, che – partendo da una piccola marina – si infila letteralmente in una stretta e lunga vallata. Essa in antico era murata verso il mare e protetta alle spalle dal monte Falerzio, estrema propaggine meridionale e marittima dei monti Lattari. La valle era bagnata da un piccolo corso d’acqua, quasi un ruscello, al quale i Cetaresi hanno dato un nome che è quasi un tenero vezzeggiativo: ‘O Cannillo.