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Una geografia euromediterranea

by Alessandro Bianchi
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In un articolo pubblicato qualche giorno fa sul nostro giornale Luigi Gravagnuolo ha messo in evidenza la “rilevanza della geografia nelle relazioni umane e la sua incidenza sulle dinamiche storiche”, un argomento di grande attualità dal quale prendo lo spunto per una riflessione sul ruolo che lo spazio euromediterraneo potrebbe svolgere nei nuovi scenari internazionali che si stanno prefigurando.

Il duplice punto di vista suggerito da Carlos Barcal – “Geografia o historia, segun che nos observen o cuando nos pensamos” – è certamente il più efficace per comprendere sia la millenaria vicenda del Mediterraneo, sia quella assai più recente dell’Europa.

Come è noto il Mediterraneo è stato lo spazio geografico nel quale si è sviluppata la civiltà a partire da quasi tremila anni fa: dall’epoca della Magna Grecia a quella dell’Impero Romano, dal periodo della talassocrazia araba a quello del dominio delle Repubbliche marinare, è stato quello il luogo in cui si sono svolti i più importanti accadimenti economici, sociali e culturali del mondo allora conosciuto.

Poi, circa a metà dell’anno Mille, la scoperta delle Americhe ha ridotto drasticamente l’importanza del Mediterraneo e ancor più lo ha ridotto l’affermarsi, a partire dalla seconda metà del XVIII secolo, dell’affluente società industriale di stampo prettamente continentale.

Nel corso del Novecento gli eventi hanno avuto un decorso molto controverso: il Canale di Suez, aperto nel 1869, aveva creato nuove opportunità ma le ripetute chiusure dovute alle guerre del 1956 (Fronte anglo-francese-israeliano contro l’Egitto), del 1967 (Arabi contro Israeliani) e del 1973 (Guerra del Kippur) hanno portato al formarsi di alternative alla rotta mediterranea, sicché la riapertura nel 1975 è avvenuta in uno scenario mondiale che aveva spostato altrove i suoi equilibri.

A quel punto il Mediterraneo era diventato un luogo residuale e così si è presentato di fronte ai tumultuosi eventi di fine secolo: la dissoluzione dell’Unione Sovietica e la conseguente ridefinizione dei rapporti Est-Ovest; l’aggravarsi dei conflitti nel Medioriente; il massiccio incremento dell’esodo migratorio dalla riva Sud verso il continente europeo. Ed è stato così ancor più dall’inizio del nuovo millennio, con le guerre in Afghanistan e in Siria, fino quella che stiamo vivendo in Ucraina.

Tutti fenomeni che hanno fatto sì che il Mediterraneo sia tornato ad essere – prevalentemente per aspetti negativi – un luogo centrale degli equilibri mondiali.

 

Quanto all’Europa, la sua costruzione è avvenuta attraverso un processo lungo, complesso e spesso controverso, che ha avuto una conclusione formale solo molto di recente con la sottoscrizione dei Trattati di Lisbona (1° dicembre 2019) e che vede ancora aperti numerosi problemi.

Tuttavia è innegabile che si tratta di un processo che ha portato sulla scena mondiale un nuovo protagonista – l’Unione Europea – non più semplice connotazione geografica ma realtà economica, sociale e culturale composta da circa 450 milioni di persone, vale a dire il triplo della Russia e quasi una volta e mezzo quella degli Stati Uniti.

Purtroppo è evidente fin dall’inizio che questa Europa ha un impronta fortemente continentale ed è sostanzialmente disattenta rispetto alla sua componente mediterranea, alla quale sono strettamente legati tre dei Paesi più importanti: la Grecia, l’Italia e la Spagna.

Questa circostanza ha una prima, disastrosa conseguenza di fronte all’esodo migratorio che origina dall’Africa, un fenomeno ampiamente prevedibile e previsto che, con ogni evidenza, andrebbe affrontato in una dimensione continentale mentre, al contrario, viene lasciato sulle spalle dei Paesi più prossimi, in primo luogo l’Italia. E anche se su questo versante si è intravisto di recente un qualche timido segnale di un atteggiamento diverso – come nei confronti della revisione dei Regolamenti di Dublino – le questioni sono di più ampia portata e, soprattutto, la guerra in corso in Ucraina sta cambiando lo scenario internazionale entro cui collocarli.

 

E’ ormai evidente che l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia rappresenta un evento instauratore, vale a dire un evento tale che dopo il suo verificarsi nulla, o quasi, può essere più uguale a prima.

D’altronde come si può pensare che non sia così dopo gli sconvolgimenti causati dai massacri di decine di migliaia di persone, dalle violenze inaudite sulla popolazione civile, dalla distruzione di intere città, dall’esodo biblico di profughi dai loro luoghi di vita? Quello che accadrà, quello che sta già accadendo, è che di fronte a simili accadimenti ciascun Paese e ciascuna persona saranno costretti a decidere da quale parte stare.

Dalla parte del mondo in cui non si conosce la parola democrazia, in cui vige solo l’informazione di Stato, in cui i dissidenti vengono eliminati fisicamente, in cui si nega l’evidenza dei fatti anche i più evidenti, in cui i rapporti tra Stati vengono affidati alla guerra? Oppure dalla parte di un mondo che ha certamente generato i suoi mostri e le sue mostruosità (ne sappiamo qualcosa in Europa), ma che li ha saputi riconoscere, combattere, spesso condannare e a volte, pur faticosamente, estirpare?

Questo è il limes nuovo che si sta creando, un limes profondo che divide il mondo civile con il suo patrimonio di valori e di principi, dalla nuova barbarie sostenuta da un drammatico substrato di ignoranza e di violenza, di cui non sappiamo quale saranno i comportamenti prossimi e futuri.

Allora la domanda è: chi è in grado oggi di assumere il compito di difendere i valori fondanti e i principi del nostro versante e, al contempo, disporsi a ridurre le differenze, i contrasti e le inimicizie con l’altro versante per tentare di rendere quel limes meno profondo? Credo che per quanto complessa sia la domanda, la risposta non possa che essere univoca: è l’Europa l’unico soggetto in grado di assumere quel compito e non può esimersi dal farlo.

Ma deve essere ben consapevole che riuscirà nell’intento solamente a molte condizioni: che faccia fare un salto di qualità alla coesione tra gli Stati che ne fanno parte; che respinga in modo netto le pulsioni antidemocratiche che ancora allignano in alcuni di quegli Stati; che stabilisca un rapporto alla pari con il suo alleato nordamericano; che faccia valere tutto il peso del suo enorme patrimonio storico e culturale; che acquisisca piena consapevolezza del ruolo essenziale che gioca per la sua identità la componente mediterranea, il che ci riporta al tema posto in apertura circa la ridefinizione di uno spazio geografico euromediterraneo.

 

La strada è quella tracciata da Predrag Matvejevic in una delle lezioni al Collège de France su “Il Mediterraneo e l’Europa”, quando auspicava che “la futura Europa fosse meno eurocentrica di quella del passato, più aperta al Terzo Mondo dell’Europa colonialista, meno egoista dell’Europa delle Nazioni, più consapevole di se stessa e meno soggetta all’americanizzazione”.