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Uno sguardo sull’opera di Gurnah, Nobel per la letteratura

by Piera De Prosperis
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Il Premio Nobel per la Letteratura 2021 è stato assegnato al romanziere Abdulrazak Gurnah “per la sua intransigente e profonda analisi degli effetti del colonialismo e del destino del rifugiato nel golfo tra culture e continenti”. E’ la motivazione. Ancora una volta l’Accademia ha sorpreso l’opinione pubblica, ponendo al centro dell’attenzione mondiale un autore poco noto, africano, rifugiato da Zanzibar. Tutte componenti politicamente corrette se pensiamo al debito storico, culturale, umano che il mondo occidentale deve al continente nero.

Abdulrazak Gurnah è il quinto scrittore africano (e solo il secondo africano nero) a essere insignito del premio Nobel per la letteratura (95 dei 117 premiati nella storia, del resto, provenivano da Europa e America del Nord): prima di lui c’erano stati il nigeriano Wole Soyinka nel 1986, l’egiziano Naguib Mahfouz nel 1998, e poi Nadine Gordimer e J.M. Coetzee, entrambi sudafricani, rispettivamente nel 1991 e 2003. I numeri parlano da soli.

Gurnah ha invitato l’Europa a considerare i rifugiati dall’Africa come una ricchezza, sottolineando che non arrivano a mani vuote. “Molte di queste persone che vengono, fuggono per necessità, e anche francamente perché hanno qualcosa da dare”.

Dal giorno della notizia i media sono andati alla spasmodica ricerca di notizie sullo scrittore che in realtà in pochissimi conoscevano.

In Italia sono usciti per Garzanti, ma sono attualmente fuori catalogo, ‘Il Disertore’ del 2006 e ‘Paradiso’ del 2007. Gurnah ha iniziato a scrivere a 21 anni in esilio, in inglese, pur essendo di madre lingua swahili. Forti suggestioni ha ricevuto dalla poesia araba e persiana. In particolare le Mille e una notte sono state per Gurnah una fonte di rilievo, così come le sure del Corano. Ma la tradizione della lingua inglese, da Shakespeare a V. S. Naipaul, ha segnato il suo lavoro. Leggere in rete qualche brano di Gurnah almeno per farsi un’idea della lingua e dello stile è praticamente impossibile. Non ve ne è traccia.

Qualche indicazione di contenuti: Memory of the Departure (su un giovane che cerca fortuna allontanandosi dalla costa e trasferendosi a Nairobi, senza però fortuna); Paradise (Paradiso), storia di un ragazzo tanzaniano, Yusuf, che agli inizi del Novecento è venduto a un mercante arabo e, a seguito della sua carovana, finisce per esplorare i contrasti vivissimi di culture diverse in un Congo inaspettato e lussureggiante, alla vigilia della Prima guerra mondiale.

In Desertion (Il disertore) la storia d’amore raccontata sfugge ai cliché della cosiddetta colonial romance, ma diventa pretesto per evidenziare separazioni culturali incolmabili. Gli stessi temi, si trovano nella sua ultima opera, il romanzo Afterlives pubblicato nel 2020 (ma iniziato quando lo scrittore aveva 21 anni), in cui le vicende di diversi giovani s’intrecciano ancora una volta sullo sfondo della colonizzazione europea dei primi del Novecento: quasi tutti i personaggi del libro sono rapiti, venduti, costretti a combattere battaglie altrui, ma non rinunciano mai alla ricerca di un destino proprio.

I personaggi di Gurnah sono sradicati, viaggiano da un continente ad un altro nella disperata ricerca di ricostruirsi un’immagine, dato che la loro è stata distrutta dalla violenza dell’invasore.

In Italia la maggiore conoscitrice dell’opera di Gurnah è Nicoletta Brazzelli, studiosa di letteratura postcoloniale e docente di letteratura inglese contemporanea all’Università di Milano. I suoi romanzi sono tutt’altro che semplici: le sue storie sono raccontate in maniera frammentaria e le sue strutture narrative sono sofisticate e complicate: la lettura dei romanzi di Gurnah richiede attenzione, pazienza e passione. Non c’è nulla di scontato e di immediato, ci vuole tempo per apprezzare questo scrittore.

Quindi perché leggere Gurnah? Perché attraverso i suoi romanzi postcoloniali è possibile comprendere i traumi del passato per un presente ed un futuro meno violenti e più aperti alla diversità, che è un valore dal quale oggi non è possibile prescindere e sul quale l’Accademia di Svezia ci spinge, giustamente, a riflettere.