Home In Italia e nel mondo Caso Almasri, che pasticcio!

Caso Almasri, che pasticcio!

Caduta con tutti e due i piedi nella trappola

by Luigi Gravagnuolo
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La prima impressione è stata quella della ritorsione.

Ci riferiamo all’iscrizione negli atti da trasmettere al Tribunale dei Ministri della denuncia inoltrata dall’avv. Luigi Li Gotti al Procuratore Capo di Roma Francesco Lo Voi. In essa si paventa per il Capo del Governo e per tre Ministri la commistione dei reati di favoreggiamento e di peculato, in relazione al rimpatrio su un volo di stato del torturatore libico, generale Nijeem Osama Almasri.

Passaggio formale ed obbligato, quello dell’iscrizione della denuncia negli atti da trasmettere al Tribunale dei Ministri. Ai sensi del nostro ordinamento è difatti questo l’organo deputato a valutare la consistenza degli addebiti ad un Capo del Governo o a un Ministro. Sarà perciò esso a giudicare se le accuse rivolte alla Premier e ai suoi colleghi di governo siano imputabili loro come reato ovvero se esse non abbiano consistenza e quindi vadano archiviate.

Niente di che, in fin dei conti: un avvocato esperto, convinto che alcuni ministri, tra i quali la Premier, si siano macchiati di reati rilevanti, da privato cittadino presenta una denuncia circostanziata alla Procura di Roma e il Procuratore Capo la inoltra al foro competente, informandone come da legge gli interessati. Punto.

Eppure, di primo acchito l’impressione è stata proprio quella della ritorsione: la maggioranza di governo vara la riforma della giustizia, tanto invisa ai magistrati, e loro partono al contrattacco! Questa la lettura della vicenda quando, la sera di martedì scorso, 28 gennaio, Giorgia Meloni ha postato sui suoi canali social la dichiarazione con la quale comunicava ai cittadini l’avvenuta ricezione della notifica della Procura. Dichiarazione immediatamente ripresa da tutti i TG e finita in breve tempo anche sui media internazionali.

La notizia ha destato in tanti – noi compresi – non solo il sospetto dell’iniziativa ‘politica’ della Magistratura a danno del Governo, ma anche la sensazione di una vulnerabilità inaccettabile dei Governi della Repubblica. Basta che un valente avvocato butti giù una denuncia ben congegnata a mettere in crisi l’assetto istituzionale del nostro Paese?

Poi, un po’ alla volta, la chiave di lettura sta cambiando. Ciò, in primo luogo, a causa dei clamorosi errori di comunicazione commessi dalla pur scafata premier.

Lasciamo perdere se l’iscrizione agli atti sia o no configurabile come un avviso di garanzia e se il Procuratore Capo Lo Voi avesse l’obbligo di darne notizia ai ministri coinvolti, ovvero ne avesse la discrezionalità. Sta di fatto che è stata la stessa on. Meloni a reputarla alla stregua di un avviso di garanzia e a darne una lettura tutta politica: le toghe rosse all’assalto del governo per aver esso osato varare una riforma che ne limita i poteri.

Entrando nel merito delle due accuse, quella di peculato prima facie appare in verità inconsistente. Il codice penale, art. 314, definisce così l’autore di un peculato: “Il pubblico ufficiale o l’incaricato di un pubblico servizio, che, avendo per ragione del suo ufficio o servizio il possesso o comunque la disponibilità di denaro o di altra cosa mobile altrui, se ne appropria…” Si tratta del ladrocinio commesso da un pubblico ufficiale, che si intasca soldi o beni pubblici. Diverso dalla distrazione, ovvero dalla destinazione di un bene pubblico a finalità diverse da quelle di ufficio. Reato questo che, nel nostro caso, sulla carta potrebbe essere anche plausibile: l’aereo di stato poteva essere utilizzato per il rimpatrio di un criminale nel suo paese? Su questo e non sul peculato – a mio sommesso avviso – potrebbe indagare il Tribunale dei Ministri.

Sull’altra accusa, il favoreggiamento di un criminale per aiutarlo a sfuggire alla condanna comminata nei suoi confronti dalla Corte Penale Internazionale, è invece più pertinente ragionare. Tanto più che l’Italia fa parte della CPI ed è obbligata ad eseguirne le sentenze.

Passano i giorni e più si fa strada l’impressione che, se pure c’è stata una volontà politica dell’avv. Li Gotti di tendere una trappola al Governo, la Meloni ci sia caduta con tutti e due i piedi, trascinandosi dietro i suoi ministri e i segretari dei partiti che la sostengono.

Chissà, forse avrà immaginato che le faccia gioco elettorale rappresentarsi agli Italiani come vittima della magistratura politicizzata, alla stregua di un Berlusconi e di un Trump. Ma così finora non è stato. Ha solo attirato su di sé l’attenzione dei commentatori e dei giuristi indipendenti, non solo di quelli schierati con l’opposizione, che ne stanno stigmatizzando le sgrammaticature giuridiche. Ha reso, così, un errore di gestione della vicenda da parte dei nostri servizi un caso addirittura internazionale. E la CPI sta già chiedendo spiegazioni su quel rimpatrio.

Che la cosa sia sfuggita di mano alla maggioranza che ci governa è palesato da tanti nervosismi che serpeggiano sulla rete e sui media. Il più eloquente quello di Bruno Vespa la sera del 30 gennaio nei suoi ‘Cinque minuti’ post TG1 . Il noto conduttore ha vistosamente perso il suo proverbiale aplomb, aggredendo l’on. Bonelli, da lui invitato a confrontarsi col sottosegretario Sisto, alle prime parole da questi profferite; poi intervenendo nel confronto come se non ne fosse il moderatore ma uno degli interlocutori; avallando la tesi meloniana del discredito arrecato dai magistrati politicizzati all’Italia piuttosto che a lei e al suo governo; e chiudendo così: “Tutti i parlamentari sanno, per lo meno quelli più avvertiti, di tutti i partiti, che per la sicurezza nazionale in ogni Stato si fanno delle cose sporchissime. Anche trattando con i torturatori. Questo avviene in tutti gli Stati del mondo”.

È vero, e prendiamo atto che per confessione di Vespa – sempre più propagandista di regime e meno giornalista – il Governo ha fatto una cosa sporchissima. Ma accidenti, i Governi più avvertiti non si fanno prendere con le mani nel sacco!