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Ci ha lasciato Raffaele La Capria

by Piera De Prosperis
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Ci ha lasciato Raffaele La Capria, figlio della Napoli borghese del Secondo Dopoguerra, che la Ortese nel quinto racconto di Il mare non bagna Napoli, intitolato Il silenzio della ragione, descrive così: Rivedevo la casa del giovane a Posillipo entro le grotte di Palazzo Donn’Anna; i maglioni celesti e bianchi di lui,(il Dudù di Montesano o l’Imperatore di Capri di Totò) che fino a pochi anni addietro era stato uno dei primi giovanottini della zona, sempre annoiati e scalzi in riva dell’acqua … egli non era Napoli, ma la cultura e i vizi e le virtù di una borghesia più che altro meridionale, la cui patria finisce sempre per essere Roma.

Un giudizio decisamente severo che nasceva dal desiderio di un profondo cambiamento, di una rivoluzione culturale, che sola avrebbe potuto dare un’identità moderna a Napoli, una volta liberatasi dalle macerie della Seconda guerra mondiale. Invece gli scrittori che dal 1945 al 1947 si erano riuniti intorno alla rivista Sud come Prunas, Prisco, Rea, Rosi, Compagnone, La Capria, Pratolini, la combriccola del sud avevano disatteso secondo la Ortese le aspettative di rinascita culturale. Anche il giudizio su Ferito a morte il romanzo con cui La Capria vinse il Premio Strega nel 1961 è feroce: tutto quanto vi è d’involuto, di ibrido e fragile in quel racconto che si attacca a Proust e Moravia, senza riuscire ad essere se stesso, rappresentava bene il punto in cui la natura di questa terra aveva raggiunto le mura di certe esperienze europee, ma non aveva scavalcato la cinta. Autori che si erano arresi diventando dei borghesi litigiosi. Si offesero tutti e non gliela perdonarono mai.

A questo punto propongo ai nostri lettori di riprendere in mano il romanzo per farcene un’idea spassionata.

Di che parla? Massimo De Luca incontra nel 1943, durante un bombardamento Carla Boursier e la loro storia dura fino alla partenza del protagonista per Roma, nell’estate del 1954. Il testo procede per frammenti, ricordi di quegli anni che si concentrano nell’arco di un solo mattino, quasi che solo il forte radicamento, nella memoria, di eventi vissuti dia loro la dignità del racconto. Negli ultimi tre capitoli vi è la il ricordo dei successivi viaggi di Massimo a Napoli, una città che ti ferisce a morte, simbolo della giovinezza e dell’amore

Perché leggerlo? Per noi napoletani è la città degli anni ’60, è la gioventù. Per gli scorci della vita napoletana di cui Massimo sente nostalgia. Per l’andamento lento della narrazione in tempi così frenetici. Per la potenza evocativa delle parole. Per alcune scene ormai famose come la pesca delle orate le cui epiche dimensioni saranno raccontate nelle infinite discussioni al Circolo nautico, o al bar Middleton insieme ai suoi amici e ai familiari.

Insomma l’addio a La Capria è l’addio ad una Napoli che non esiste più, di cui lo stesso scrittore era consapevole e di cui Ferito a morte rappresenta il nostro baule di ricordi. Un classico.