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Cingolani e Spence al festival dell’economia di Torino

by Pietro Spirito
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Nella seconda giornata del festival internazionale dell’economia di Torino si è tenuto un confronto tra Michael Spence, premio Nobel dell’economia 2001, ed il Ministro per la transizione ecologica, Roberto Cingolani sul tema della dipendenza energetica nella transizione economica.

Michael Spence è un economista statunitense che ha ottenuto il Nobel assieme a Joseph E. Stiglitz e George A. Akerlof “per le loro analisi dei mercati con informazione asimmetrica”. È per questo una delle voci più autorevoli nel dibattito economico internazionale.

La discussione, coordinata dal giornalista Marco Zatterin, si è svolta il giorno dopo l’approvazione del sesto pacchetto di sanzioni alla Russia da parte della Unione Europea, con la decisione di tagliare le importazioni di petrolio russo provenienti dal mare entro la fine del 2022. Si una decisione di compromesso che comunque ha determinato un aumento del prezzo del greggio a 120 dollari al barile.

Secondo Michael Spence i Paesi occidentali si avviano verso una recessione, determinata, oltre che dalle pressioni inflazionistiche, anche dagli effetti bellici ed in particolare dalla pesante discontinuità energetica infitta dalle sanzioni verso la Russia.

Per affrontare questo delicato passaggio occorre mettere in campo interventi di politica fiscale e spingere con decisione in direzione della rivoluzione digitale, che può determinare una crescita della produttività.

Sul futuro energetico, paradossalmente, gli attuali prezzi alti delle risorse energetiche spingeranno verso modelli di consumo più efficienti, come peraltro già accadde in occasione delle crisi petrolifere degli anni Settanta.

Roberto Cingolani ha sottolineato che le ultime dodici settimane hanno impartito lezioni molto profonde all’economia internazionale: si è dimostrata l’interdipendenza energetica che ha evidenziato la debolezza di un mercato molto concentrato dei produttori, in una fase resa già complessa dagli impegni di tutti gli Stati verso la transizione orientata alla riduzione delle emissioni inquinanti, con la decisione strategica di abbandonare le energie fossili.

Rimpiazzare il gas russo da altri Paesi o da altre fonti è in realtà un’operazione molto complessa anche perché la transizione energetica cinese è basata sul passaggio dal carbone al gas: il colosso asiatico dovrà passare da 300 milioni di metri cubi a 500, con una pressione molto robusta in un mercato che già presenta tensioni dal lato della domanda.

Del resto, l’insieme degli obiettivi della COP26 è molto dipendente da quello che accadrà in Cina, dal momento che questo Paese concentra il 27% delle emissioni del mondo. Solo una visione globale delle variabili in gioco può consentire di comprendere i processi di trasformazione che sono in corso.

Non possiamo peraltro dimenticare che sono oltre 3 miliardi le persone che oggi non hanno accesso all’energia. Dal punto di vista globale, la gestione della transizione energetica è un’operazione molto complessa perché si incrocia con la struttura del sistema economico internazionale e con il futuro dell’umanità.

Per questo occorre investire in ricerca e tecnologie sulle nuove energie. Bisogna farlo ora, senza esitazioni. Come per l’emergenza pandemica la comunità internazionale ha reagito modificando comportamenti radicati, impiegando solo otto mesi per le autorizzazioni regolatorie del vaccino, così ora c’è bisogno di una grande coalizione mondiale per realizzare in otto anni un salto tecnologico di dimensioni epocali nella produzione di nuove fonti energetiche, accelerando il percorso verso la fusione nucleare.

In conclusione, Michael Spence ha messo in evidenza che, se nel breve periodo esiste un trade off tra crescita economica e sostenibilità ambientale, nel lungo periodo invece questi due elementi diventano inevitabilmente alleati, modificando radicalmente le coordinate con le quali i sistemi produttivi affronteranno la questione dello sviluppo economico.

Proprio sulla diversificazione energetica si gioca una partita decisiva per il futuro: non potrà essere lasciata al mercato, ma dovrà essere guidata dalle politiche pubbliche, anche in un concerto multilaterale per poter ridurre i tempi di attraversamento di una transizione che non può più ormai, per diverse ragioni, essere rimandata: sono tanti gli elementi – dalla crisi climatica alle ragioni geo-politiche – che spingono verso una centralità di tale questione nell’assetto internazionale.