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Coronavirus. La lettera aperta dei medici lombardi

by Luca Rampazzo
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medici Trivulzio

Ieri sera la FROMCeO lombarda ha scritto una lettera pubblica sulla condotta tenuta dalla Regione nell’emergenza sanitaria legata all’epidemia. Innanzitutto, chi è La FROMCeO? E’ la Federazione regionale che riunisce e coordina gli Ordini professionali dei Medici e degli Odontoiatri delle provincie lombarde. L’articolazione regionale della Federazione Nazionale, Ente ausiliario dello Stato, che collabora con le Istituzioni per risolvere i problemi sanitari del Paese.

La lettera si apre con una precisazione: non si intende distribuire responsabilità. Ma analizzare fatti, in maniera da porre le basi per non ripetere gli errori fin qui verificatisi. Il che è in sé un giudizio di valore. E si arriva subito al punto: un elenco di sette errori. Che risalirebbero tutti ad un’unica matrice: l’indebolimento della medicina del territorio.

Primo: errata raccolta dei dati. I tamponi si sarebbero fatti solo ai pazienti ricoverati con gravi sintomi. Se non andiamo errati, però, questa era la dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Cioè dei medici, o almeno di una parte di essi.

Secondo: incertezza nella definizione della zona rossa a Bergamo. È un tema ricorrente e purtroppo fondato. Già il fatto che Governo e Regione avessero il potere di fare la stessa cosa per i medesimi motivi ha appesantito la catena di comando. Forse il problema è stato, almeno parzialmente, risolto con il Decreto-Legge del 25 marzo.

Terzo: gestione confusa delle RSA. Questo è assolutamente ed incontestabilmente vero. Ad oggi non è ancora chiaro se i pazienti post-ricovero fossero là per decisione delle RSA o se vi fossero stati inviati su decisione delle ATS (ex ULSS). In futuro si dovrà davvero decidere come proteggere gli anziani. In futuro inteso come oggi, non come fra un paio d’anni.

Quarto: la mancata fornitura dei dispositivi di protezione individuale (tipo mascherine) ai medici del territorio. Va detto che l’intera catena di distribuzione di questi DPI è stata farraginosa e che la scelta di privilegiare gli ospedali, col senno di poi, non sembra essere stata particolarmente illuminata. Ma perché non si è arrivati prima alla sospensione delle visite?

Quinto: la pressoché totale assenza delle attività di igiene pubblica (isolamenti dei contatti, tamponi sul territorio a malati e contatti, ecc.). Ma c’era sufficiente disponibilità di reagenti e laboratori?

Sesto: La mancata esecuzione dei tamponi agli operatori sanitari del territorio. Questo è indubbiamente vero. Anche se i tamponi non andavano solo fatti, ma ripetuti costantemente nel tempo.

Settimo: mancato governo del territorio. Che avrebbe determinato la saturazione dei posti letto ospedalieri. Un’accusa grave. Forse un po’ generica. Si accusa la Regione di aver chiuso i piccoli ospedali? Di aver riformato (male) i medici di base?

Certo la considerazione che “La sanità pubblica e la medicina territoriale sono state da molti anni trascurate e depotenziate nella nostra Regione”, pone l’accento su un tema di fondo che va affrontato. Non solo a livello regionale.

Come? La lettera avanza una serie di proposte. Test rapidi immunologici e tamponi, in un contesto tecnico, procedurale e diagnostico, molto dettagliato. Idonei comportamenti e protezioni sui luoghi di lavoro (e non solo). Ripresa graduale e prudente, con tempi legati alla disponibilità delle necessarie risorse.

Infine, si esprime la disponibilità ad un confronto costante con le Istituzioni. Disponibilità sino ad oggi ignorata.

Non è questo il momento di stabilire le responsabilità e siamo certi che non sia questo l’obiettivo dei medici lombardi. Però è sempre il momento di correggere gli errori. Insieme.