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È andato via Pelé, che tristezza.

by Vito Nocera
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Non contano nulla le critiche che per anni gli abbiamo fatto, il suo essere in un certo senso troppo ministeriale, o anche una leggenda senza la poesia che ad esempio suscitava Garrincha. E lascerei per un attimo anche il dualismo con Diego. Anzi mi sembra quasi un’ingiustizia del cielo, o di chissà cos’altro, aver spedito quaggiù due giocatori così, costringendoci a sceglierne uno.

Questa è la notte di Pelé, e anche della nostra fanciullezza perduta per sempre.

Prima ancora delle figurine Panini, su quegli strani ritrattini che ci giocavamo sui muretti con un colpo della mano chiusa a coppa, Pelé già c’era. E con lui gli altri idoli brasiliani con la maglia verde oro. Zagallo, Zito, appunto Garrincha. Erano gli anni in cui, un po’ per la nostra età un po’ perché allora di calcio in TV se ne vedeva poco, tutto si giocava nella sfera della fantasia. O nei campetti adattati tra due strade con le giacche o i libri a segnare i pali della porta. Lì quei campioni sembravano parlarti da un mondo fantastico e lontano, il Brasile, chi aveva idea di dov’era il Brasile. E quei ragazzi dalla pelle scura come velluto.

Ne avremmo poi più avanti conosciuti altri meglio. Ogni squadra italiana acquistò il suo calciatore di colore. Quasi sempre brasiliano. L’Inter aveva Jair, velocissima ala destra che fece le fortune di Herrera. Il Milan prese Amarildo, giocatore talentuoso che al mondiale del ‘62 aveva sostituito proprio Pelé che si era infortunato. La Juve prese Nené, lo pensava centravanti, però si affermò solo più tardi a Cagliari da centrocampista. Perfino il Napoli – in quegli anni faceva la spola tra la A e la B – volle il suo giocatore di colore, Faustino Canè.

Dal Brasile arrivarono anche calciatori bianchi, Altafini, Sormani, Da Costa, Dino Sani. Tutti fuoriclasse assoluti. E tanti altri, pur non giocando in Europa, furono dei miti straordinari.

Tra loro Pelé non smise mai di brillare. Completo era completo, stile ed efficacia inarrivabili, passo felpato e regale. E a veder bene non poteva che diventare il simbolo di quel Brasile e poi di quel calcio.

La storia del dualismo con Diego è un altro capitolo, ma i due non stavano in campo negli stessi anni. Di Diego abbiamo capito e amato tutto, eravamo già adulti. Pelé fu, per quei quasi bambini di fine anni 50 che eravamo, un primo lampo di vita, la scoperta di quanto potesse essere stimolante crescere e guardare più lontano del muro di cinta del giardinetto che circondava la mia abitazione.

Quei nostri sogni profondi e lontani. Per questo stanotte piangiamo Pelé, con lui stiamo celebrando noi stessi.