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In marcia fino alle due Torri della Foce del Sele

by Federico L. I. Federico
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Ci rimettiamo in marcia verso Foce Sele dopo avere sorseggiato il nostro caffè al bar del vecchio Ristorante Pizzeria S.Michele, che si trova a un tiro di schioppo dall’aeroporto di Salerno Costa d’Amalfi. La sua pista lunga e ortogonale al mare azzurro consentirà a chi atterra o si alza in volo di accorgersi di un altro mare. Bianco perlaceo. E’ quello di plastica delle serre che, a decine, a centinaia, coprendo migliaia di metri quadri, ricoprono ormai gran parte di quella zona della Piana del Sele. L’abbiamo definita la nuova California agricola e industriosa – non industriale – del Sud della Campania. Merita ampiamente l’appellativo. Valorizzando le proprie potenzialità ha saputo riscattarsi. Ricordi lontani e nebbiosi ci portano alla memoria un sito una volta popolato soltanto di stagni, bufale, cavalli e cacciagione. Di passo e stanziale. Ci torna in mente anche la rivolta popolare di Battipaglia scatenatasi per la chiusura dello zuccherificio e del tabacchificio della SAIM, la Società Agricola Industriale Meridionale. Il Sessantotto delle Università aveva già contagiato con i propri fermenti altri settori della società civile. A migliaia i battipagliesi scesero in piazza. Lo scontro tra manifestanti e polizia fu cruento. Costò due morti, un giovane studente e una donna insegnante. E anche molti feriti. Addirittura, il Parlamento fu investito del problema e dovette impegnarsi a garantire la permanenza di quelle attività lavorative. Il benessere di oggi per quelle zone allora veramente periferiche è forse anche figlio di quei giorni difficili.

Riportiamo i nostri pensieri in marcia verso il Sele e infatti superiamo subito il Fiume Tusciano che divide il territorio di Pontecagnano da quello di Battipaglia. Stiamo sempre sulla litoranea inseguendo il mito delle Torri di guardia. Ma a dir la verità tutta intera, inseguiamo anche l’idea delle anguille fritte. Le anguille del Sele hanno una livrea su cui prevale, forse per mimetismo ambientale, il colore giallo verdognolo chiaro dei fanghi del Sele. Sono piccole e buone, anzi ottime da mangiare, ma nostalgicamente possiamo affermare che esse niente hanno a che vedere con le anguille del Sarno, dal manto scuro come le sabbie vesuviane. Però ci sta un piccolo particolare che fa la differenza. Completa. Nel Sarno da ormai molti decenni di anguille non se ne pescano più. E ciò succede perché le ceche – cioè le anguille giovani – di ritorno dal mar dei Sargassi dove sono nate si arrestano al largo davanti all’isolotto di Rovigliano, alla foce a mare del Sarno. E, nel tentativo di risalire quelle acque fetide e velenose perché hanno nel loro DNA il percorso da compiere fino alla maturità, muoiono, muoiono a centinaia. Ma tornano alla Foce del Sarno sempre. Anche se meno numerose negli ultimi anni. Forse perché in parte il loro DNA si è aggiornato? Lasciamo agli scienziati l’interrogativo.

Noi andiamo avanti, avendo superato da tempo la Tenuta Doria, dove ci siamo riforniti di qualche mozzarella. E ci ricordiamo che in quei terreni acquitrinosi e melmosi i Cavalli di razza Persano erano portati a fortificare i garretti e a sfiancarsi nella corsa per poi essere pronti ad affrontare le mille battaglie che li attendevano. Prima in guerra e poi nello sport. Arriviamo così al litorale di Eboli dove ritroviamo ricostituito il tappeto vegetale della vasta area che precede il lungo fronte della spiaggia. Esso era oppresso da una miriade di case e casette abusive che popolavano quel sito naturale prima occupato da tranquille mandrie di bufale intente a crogiolarsi nel fango, battendo la coda come una frusta sotto l’implacabile attacco di mosche e tafani.

IL recupero di quell’area alla collettività si deve a un sindaco coraggioso, militante di Rifondazione Comunista, Rosania . Egli qualche decennio orsono – allo spirare degli anni ’90 del Novecento, quindi circa venti anni fa – mobilitò ruspe “a carro armato” facendo radere al suolo quell’insediamento abusivo, fatto di micro abitazioni e villettine che avevano formato una vera e propria casbah lineare di molti chilometri. Gli insediati avevano anche provveduto a una toponomastica “fai da te” per le stradine interne, le quali dalla strada servivano in un labirinto soffocante gli abitanti dell’insediamento. Un orrore urbanistico. Non altro.

Siamo però ormai quasi in vista del Ponte sul Sele. E difatti in dieci minuti arriviamo alla Torre Kernot di Focesele. Essa si trova appena superato il ponte in territorio ormai capaccese e si nasconde tra il verde, sulla sinistra della Litoranea. La Torre Kernot prende il nome originariamente dalla famiglia omonima di nobili Irlandesi. Probabilmente la stessa famiglia che a Posillipo aveva una bella Villa tardo ottocentesca, appunto Villa Kernot.

E’ una torre integra, esile e anche bella, ma sorta per la caccia nell’Ottocento a iniziativa degli Irlandesi Kernot. Dunque, la Torre che abbiamo ritrovato non ha fatto mai parte della Rete della difesa costiera del Regno di Napoli definita nel piano strategico vicereale dell’anno 1563. Essa quindi è una Torre senza storia “pubblica”. Però sorge accanto a un’altra Torre, ubicata poco più all’interno rispetto alla linea di costa. Una Torre stavolta difensiva. Questa seconda Torre prende il nome di Torre del Sele, sgombrando ogni nostro residuo dubbio. Rimaniamo sorpresi, perché ci accorgiamo che il sito richiede una sosta prolungata. Ma siamo contenti, perché stavolta le anguille non ci sfuggiranno.