Si chiamano Stefania Constantini e Amos Mosaner. Sono i due atleti italiani che ieri hanno vinto la medaglia d’oro nel doppio misto del curling alle Olimpiadi di Pechino. 11 partite, 11 vittorie. E tutte abbastanza nette, senza particolari patemi. Risultato considerato storico, non foss’altro perché l’Italia non è esattamente la patria del curling. La Federazione nazionale conta circa 500 iscritti. Non uno sport propriamente popolare, quindi, anzi per alcuni più un gioco che uno sport.
Viene infatti normalmente accostato alle bocce e agli scacchi. Nel primo caso, si capisce subito perché. In entrambi i giochi i punti si segnano lanciando le bocce, o gli stone, per avvicinarle al boccino, o alla casa, cioè un punto fisso sulla pista. L’accostamento agli scacchi è invece dovuto alla strategia ed alla tattica che è necessario applicarvi. Un po’ forzata come similitudine ma suggestiva. Io ne aggiungo un’altra: con il biliardo. In particolare con lo snooker. Tattica, strategia, precisione tecnica, avvicinamento, difesa dietro altre biglie (detta snooker, appunto).
Quello che rende il curling unico è, ovviamente, il ghiaccio. Gli stone scivolano su una pista lunga circa 45 metri, ruotano su se stessi, curvano, proteggono o bocciano, vanno a punto. Una dinamica elegante, agevolata dalle scope che vengono freneticamente sfregate sul ghiaccio davanti agli stone per influenzarne la traiettoria e la velocità. Può essere noioso (le partite sono lunghe e ci vuole un po’ prima di entrare nello spirito del gioco) ma anche affascinante.
Ieri è stato addirittura elettrizzante. Per noi Italiani ovviamente. La nostra squadra ha vinto con calma e sicurezza, apparentemente senza tensione. E soprattutto senza sbagliare un colpo, per quanto è dato capire a chi non pratica questo sport.
Allora. E’ un gioco o uno sport? Non importa, ci siamo divertiti e abbiamo vinto.