fbpx
Home Lavori in corso Superbonus 110%, l’edilizia di cittadinanza

Superbonus 110%, l’edilizia di cittadinanza

by Pietro Spirito
0 comment

 

I due governi di Giuseppe Conte hanno lasciato in eredità due rose con tante spine avvelenate: il reddito di cittadinanza ed i superbonus edilizi. Si tratta di due misure di politica economica necessarie, anche indispensabili, ma costruite in modo tale da evitare accuratamente ogni regola di comune buon senso per il loro corretto funzionamento.

Nel caso del reddito di cittadinanza si metteva impropriamente assieme una misura di politica sociale con le azioni di politica attiva del lavoro. Nel caso del superbonus imprese e cittadini erano stimolati a far crescere i prezzi per massimizzare i costi per lo Stato. Lo aveva già fatto osservare Mario Draghi che, avendo in maggioranza i Cinque Stelle, non era in grado di intervenire in modo drastico sulle distorsioni che si erano determinate.

Sono ora in vigore da qualche giorno le nuove regole sui bonus edilizi, con lo stop alla possibilità di ricorrere alla cessione dei crediti e allo sconto in fattura e il divieto per le pubbliche amministrazioni di acquistare i crediti fiscali. Ristrutturare casa, rifare gli infissi o acquistare un condizionatore non sarà più conveniente come è stato finora.

Cessione del credito e sconto in fattura hanno favorito in questi anni tanti interventi, consentendo a molti cittadini di non pagare, o di avere comunque una riduzione immediata del prezzo. Il bonus fiscale del 110% ha creato tuttavia una serie di inevitabili implicazioni negative dal punto di vista economico.

Non sopportando oneri per gli interventi, né il committente né il fornitore avevano interesse alla negoziazione ed alla minimizzazione del prezzo. Si è determinata quella situazione che gli economisti definiscono azzardo morale, che ha contribuito alla crescita dell’inflazione in anni caratterizzati già da tensioni generate dall’aumento dei prezzi delle materie prime.

Questa manovra ha comunque determinato una forte spinta alla riqualificazione del patrimonio edilizio. Ma lo stop del governo, che lascia queste opzioni solo a chi ha già avviato i lavori, rischia ora di fermare un mercato arrivato a marciare al ritmo di 200mila interventi l’anno. Così come rischia di accadere anche per il blocco del reddito di cittadinanza per gli occupabili fissato al mese di luglio, il governo sembra solo in grado di cancellare misure di politica economica senza riuscire a reindirizzare gli interventi salvaguardandone gli aspetti positivi per l’equità sociale e la crescita economica.

Per le spese relative ai vari interventi edilizi non sarà più possibile usare l’opzione della cessione del credito o dello sconto in fattura. Resta solo la detrazione fiscale attraverso la dichiarazione dei redditi: le spese vanno dunque pagate interamente, ma potranno essere detratte dalle tasse, con una percentuale che varia in base al tipo di bonus e ripartita su più anni.

Gli interventi interessati sono sette: recupero del patrimonio edilizio; efficienza energetica; adozione di misure antisismiche; recupero o restauro della facciata degli edifici esistenti; installazione di impianti fotovoltaici; installazione di colonnine per la ricarica dei veicoli elettrici; superamento ed eliminazione di barriere architettoniche.

L’opzione dello sconto o della cessione resta solo per chi ha già avviato l’iter dei lavori. Più precisamente, per gli interventi legati al superbonus, entro il 17 febbraio 2023 (la data di entrata in vigore del decreto) devono risultare presentati: per gli interventi diversi da quelli effettuati dai condomini, la comunicazione di inizio lavori asseverata (Cila); per gli interventi effettuati dai condomini, oltre alla Cila deve anche risultare adottata la delibera assembleare che ha approvato l’esecuzione dei lavori; per gli interventi di demolizione e ricostruzione di edifici l’istanza per l’acquisizione del titolo abilitativo.

Per gli altri interventi edilizi è necessario che entro la stessa data: risulti presentata la richiesta del titolo abilitativo; siano già iniziati i lavori nel caso in cui non serva un titolo abilitativo; risulti regolarmente registrato il contratto preliminare o stipulato il contratto definitivo di compravendita nel caso di acquisto di unità site in fabbricati oggetto di interventi di restauro e risanamento conservativo e di ristrutturazione.

L’Ance stima prudenzialmente uno stock di crediti fiscali incagliati per 15 miliardi: se si stima che ogni miliardo di crediti incagliati produca il blocco di circa 6.000 interventi (tra unifamiliari e condomini), con rischio di fallimento di almeno 1.700 imprese di costruzioni e la perdita di circa 9.000 occupati, si avrebbero 25.000 imprese fallite, problemi per 90 mila cantieri e 130.000 disoccupati in più nelle costruzioni, senza contare i possibili fallimenti nelle imprese della filiera delle imprese fornitrici.

A contribuire a questa situazione, e quindi a bloccare anche la coda delle agevolazioni ancora in vigore dopo il varo del provvedimento, va considerato il progressivo esaurimento della capienza fiscale delle principali banche italiane: è stimata in circa 81 miliardi nel prossimo quinquennio e gli istituti hanno già acquistato o assunto impegni nel solo biennio 2020-2022 per circa 77 miliardi.

I crediti d’imposta hanno raggiunto un valore complessivo di 110 miliardi di euro, secondo i numeri forniti dal ministro dell’Economia. Solo per il superbonus l’onere a carico dello Stato sfiora i 72 miliardi: le detrazioni previste a fine lavori certificate dall’Enea al 31 gennaio sono pari a 71,7 miliardi, quelle maturate per lavori conclusi 54,7 miliardi. Al superbonus si deve comunque una forte spinta all’economia: secondo un recente rapporto del Cresme, il 22% della crescita del Pil del 2022 è dovuta proprio al superbonus.

Resta aperto il tema della riqualificazione energetica degli edifici. L’Unione Europea ha appena approvato la proposta di direttiva sulle case green, che fissa l’obiettivo per gli edifici residenziali di raggiungere una classe di prestazione energetica minima di tipo ‘E’ entro il primo gennaio 2030 e ‘D’ entro il 2033. L’Italia però è ancora indietro: secondo le stime dell’Enea 11 milioni di abitazioni, cioè il 74%, è in una classe energetica inferiore alla D. Il sistema della cessione dei crediti aveva impresso un’accelerazione: prima si facevano circa 8mila interventi ogni anno, secondo l’Ance, dopo sono diventati 200mila l’anno.