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Via libera alle grate al Plebiscito. La linea 6 riparte

by Giulio Espero
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“Eccesso di potere per irragionevolezza, difetto di istruttoria e motivazione”. Le grate al Plebiscito per la linea 6 della metro si possono fare. Parola di Tribunale Amministrativo Regionale.

Una prima importante vittoria per il Comune di Napoli e l’assessore Calabrese.

Uno smacco per il Direttore Generale del Ministero per i Beni e le Attività Culturali (MIBAC), Gino Famiglietti, che aveva clamorosamente sconfessato il Soprintendente di Napoli, Garella.

Noi avevamo già espresso perplessità sull’operato del MIBAC, con particolare riferimento alle motivazioni. Ma andiamo con ordine.

Il Comune deve realizzare una camera di aerazione indispensabile per la nuova metro e pensa di utilizzarne una già esistente in piazza Plebiscito.

La Soprintendenza autorizza.

La direzione generale del Ministero annulla l’autorizzazione e dispone che sia eseguita in piazza Carolina.

Contro quel provvedimento del 5 dicembre, come ovvio, il comune di Napoli fa ricorso al TAR e questo gli dà ragione.

I giudici, in sostanza, accusano il Ministero di aver esorbitato dalle proprie competenze. “Compete all’amministrazione dei Beni culturali rilasciare o denegare motivatamente l’autorizzazione a realizzare opere in una determinata area sottoposta a vincolo, non già indicare come unico luogo in cui tali opere possono essere realizzate proprio quello scartato dall’ente locale…”

La Direzione generale “avrebbe dovuto limitarsi a rilevare eventuali vizi … attinenti al vincolo monumentale gravante sull’area di piazza Plebiscito…”

Infatti, la scelta “…implica e presuppone valutazioni di natura eterogenea nonché bilanciamento di interessi che … attengono alla durata dei lavori necessari, ai costi degli stessi, all’incidenza di essi sulla vivibilità urbana nonché alla possibile perdita di finanziamenti dovuta alla dilatazione dei tempi di realizzazione”.

Non solo espropriazione di competenze altrui, ma eccesso di potere anche laddove “…. ha motivato l’annullamento d’ufficio dell’autorizzazione rilasciata dalla Soprintendenza campana … senza per nulla considerare le serie difficoltà rappresentate in particolare nella Relazione tecnica di confronto fra le due soluzioni (piazza Carolina e piazza Plebiscito) … non ha espresso alcuna motivata considerazione, con ciò incorrendo nel denunciato vizio di eccesso di potere per irragionevolezza, difetto di istruttoria e motivazione”.

Sono stati poi violati i principi che regolano l’esercizio del potere di autotutela perché non sono stati esaminati “gli interessi facenti capo al Comune di Napoli e alla collettività di cui esso è ente esponenziale…”

Fortemente rivalutata, quindi, l’azione tecnico amministrativa del Comune di Napoli e del Sovrintendente Garella a cui i giudici riconoscono quasi un ridimensionamento coatto da parte della Direzione generale del Mistero: “…nel decreto impugnato … si rinviene soltanto l’immotivata negazione dell’esistenza di ‘elementi tecnici ostativi tali da impedire la realizzazione della camera ipogea … in piazza Carolina’ e lo scarno, generico e non documentato richiamo alla valutazione … circa le osservazioni presentate dal Comune di Napoli”.

I parlamentari grillini che a suo tempo si vantarono di aver fatto pressioni sul Governo contro i lavori al plebiscito (fu dunque uno stop politico più che tecnico?) cosa dicono ora?

Cosa dicono i consiglieri comunali (peraltro di maggioranza) che si scagliarono contro i professori di palazzo San Giacomo?

Dal canto suo, il professore/assessore Calabrese ci ha detto: “Mi sembra che la sentenza evidenzi che nel procedimento che ha portato all’autorizzazione dei lavori non ci sia stata alcuna carenza istruttoria e riconosca anche i rilevantissimi interessi pubblici di cui è portatore il Comune. Potremo ora ripartire con i lavori”.

È prematuro affermare con certezza che la vicenda si sia chiusa definitivamente e che domani vedremo il cantiere in fermento.

C’è da scommettere che dopo il doveroso chiarimento tra il Ministro e il Direttore generale, il MIBAC presenterà appello al Consiglio di Stato per ribadire le proprie ragioni. Pare che gli avvocati del Ministero stiano affilando i coltelli, bisogna far vedere chi comanda davvero.

Però ci piace pensare che questa volta la protervia cieca e autoreferenziale di qualche grande commis di Stato sia stata pesantemente ridimensionata.

Ad maiora e speriamo di farci un giro quanto prima sulla linea 6.