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Whitewashing

by Piera De Prosperis
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Ma se Obama fosse stato più colored avrebbe avuto i voti anche dei bianchi? Se Sidney Poitier avesse avuto tratti somatici più afro, sarebbe stato il genero di Spencer Tracy, in Indovina chi viene a cena, cioè nel film in cui l’attore raggiunse,  per primo, la dimensione di icona di Hollywood?

La comunità afro-americana del cinema si è recentemente ribellata alla notizia che Will Smith avrebbe dovuto interpretare il padre e allenatore delle tenniste Venus e Serena Williams, Richard Williams.

La polemica nasce dal fatto che l’attore avrebbe un colore della pelle troppo più chiaro rispetto all’uomo che avrebbe dovuto interpretare. In buona sostanza le major cinematografiche sovvenzionerebbero  film solo con attori di colore, ma piuttosto sbiadito, più vicino al caffellatte che al nero caffè. Questione di gusti, necessità di andare incontro ad un pubblico non di colore che ha preferenze spiccate per i tratti caucasici? Forse entrambe le cose ma in un contesto decisamente politically incorrect. In un mondo, quale quello americano, in cui la separazione razziale non è un problema risolto, l’orgoglio nero è stato alla base del discorso di Spike Lee alla premiazione degli Oscar. Davanti al mondo stasera, rendo omaggio ai nostri antenati che hanno reso questo Paese quello che è oggi, e al genocidio dei suoi nativi. Siamo tutti connessi con i nostri antenati. Quando riguadagneremo l’amore e la saggezza, recupereremo la nostra umanità. Sarà un momento importante.

L’accusa che dalla comunità afro si muove ai produttori ed ai registi ha un nome preciso: whitewashing, cioè la pratica volta a sbiancare i personaggi di Hollywood, che, secondo la logica apparterrebbero ad altre etnie. Il concetto di whitewashing risale all’inizio del Novecento, quando nei film e nel teatro per interpretare attori neri venivano scelti attori bianchi a cui veniva colorata la faccia in modo caricaturale. Si parla in questo caso di blackface, un tipo di trucco accusato di essere razzista perché spesso impediva ai neri di avere delle parti nei film.

La polemica contro la scelta di attori non dell’etnia prevista nel film si è sviluppata anche nel mondo arabo dove alla scelta di affidare il ruolo di Aladino, nel nuovo live action della fiaba, all’ attore canadese di origine egiziana Mena Massoud, e quello di Jasmine  a Naomi Scott, inglese con mamma ugandese di origine indiana e papà britannico. Sui social si è letto: «In Disney credono che la pelle marrone sia tutta uguale».

Che cosa nasconde questo atteggiamento intollerante che va sotto il nome di politicamente corretto che, in tante situazioni, pensiamo al metoo, pur partendo da premesse decisamente condivisibili, è poi arrivato ad  esasperazione ed eccessi ? Probabilmente il fatto che le leve di potere culturale ritengono il pubblico poco esperto e preparato, poco incline a distaccarsi dai suoi tradizionali modelli. In realtà non è necessario che una storia sia raccontata da attori bianchi o poco neri per essere capita. Sembra un pregiudizio al contrario, sembra quasi che coloro che fanno scelte del genere vogliano rafforzare la globalizzazione dell’immagine che cancella le diversità superficiali ma, in realtà, lascia intatte quelle profonde anzi aggravando le discrepanze tra i popoli.

Ho citato prima il metoo, battaglia sacrosanta, anche questa partita da Hollywood, che però ha assunto  aspetti intimidatori e di pericolosa deriva di caccia alle streghe. Il rischio è proprio questo: in pubblico tutti d’accordo, ma in privato, nella quotidianità nulla  o poco cambia. I femminicidi sono all’ordine del giorno, le cronache ne sono piene. Il che significa che bisogna lavorare sul tessuto sociale, non fare roboanti proclami. Questi servono a svegliare le coscienze ma perché esse non si assopiscano c’è bisogno di un piccolo ma frequente richiamo giornaliero da parte di scuola, famiglia, comunità che operano nel sociale.

E’ facile affidare a Greta Thunberg tutte le nostre responsabilità di adulti. Ammirevole la piccola svedese che lotta da sola con la forza dei suoi sedici anni contro la maleducazione ambientale del mondo dei grandi. Ma è solo nel quotidiano, nella lotta agli sprechi, alle cattive abitudini nei comportamenti che, forse, e dico forse, il mondo potrebbe salvarsi. Non vorrei che Greta, candidata al Nobel per la pace, fosse un modo per tutti di mettersi l’animo in pace, della serie abbiamo partecipato alla manifestazione, venerdì non andiamo a scuola,il nostro dovere lo abbiamo fatto.

Il politicamente corretto nasce da dentro, dalla sensibilità di ognuno di noi , modificando la sostanza del nostro agire e non solo i vuoti nomi che diamo in sostituzione di quelli in uso che possano turbare le sensibilità. Il rischio è che le battaglie per i diritti rimangano a livello social, che si realizzino nella realtà social ma non in quella reale e tutto questo ci seppellirà.