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Metano o idrogeno?

by Giuseppe Cristoforoni
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“E’ un cambio di paradigma – ha spiegato il Ministro Costa a proposito del Piano governativo energia/clima 2030 – del modo di produrre che tutela l’ambiente. Fra produzione e ambiente il disaccoppiamento è superato”, ha aggiunto osservando che non si tratta quindi “solo di una manovra di politica energetica”. Il Piano prevede una “transizione equilibrata, senza lasciare nessuno indietro” e se “per ogni miliardo nel carbon fossile ci sono 5.000 posti di lavoro, nel settore delle rinnovabili ne sono previsti 15mila” ha detto il ministro precisando che nella transizione non viene abbandonato nessuno di coloro che provengono dal vecchio sistema. Costa ha voluto sottolineare anche come “per la prima volta tre ministeri – Ambiente, Sviluppo e Trasporti – hanno lavorato insieme” valorizzando le sinergie, dalla mobilità alternativa al fotovoltaico che potrebbe “approdare” ad esempio su siti dopo che sono stati bonificati.

Il Piano, strutturato secondo 5 dimensioni – decarbonizzazione, efficienza energetica, sicurezza energetica, mercato interno dell’energia, ricerca, innovazione e competitività – è lo strumento con il quale ogni Stato stabilisce i propri contributi agli obiettivi europei al 2030 sull’efficienza energetica e sulle fonti rinnovabili e quali sono i propri obiettivi in tema di sicurezza energetica, mercato unico dell’energia e competitività.Non possiamo sbagliare, ha proseguito, osservando che il “governo lavora a qualcosa che gli sopravviverà” e rilevando “l’ambizione di indipendenza del nostro Paese” dalle fonti fossili e di “dargli più potere contrattuale”.

Cosa prevede il Piano? Per la decantata decarbonizzazione si nota che, un ampissimo 25% viene affidato all’aumento dell’efficienza energetica degli edifici. In base alle norme europee, nel periodo 2021-2030 dobbiamo ridurre il consumo di circa 51 Mtep. In base al piano, questo obiettivo si raggiungerà risparmiando ogni anno lo 0,8% di energia rispetto all’anno precedente, potenziando e adeguando gli strumenti di sostegno già in vigore: il meccanismo dei Certificati Bianchi; le detrazioni fiscali per gli interventi di efficienza energetica e il recupero del patrimonio edilizio esistente; il conto termico; il fondo nazionale per l’efficienza energetica.

Il Piano prevede grandi risparmi di energia termica derivanti da una forte diffusione delle reti di teleriscaldamento alimentate da centrali termoelettriche a cogenerazione, da biomasse, o termovalorizzazione dei rifiuti. L’uso dei rifiuti negli inceneritori (e non “termovalorizzatori”) verrà quasi triplicato, così come sarà quasi raddoppiato nelle biomasse. Quindi si costruiranno nuovi INCENERITORI!

Il Piano prevede una diminuzione del consumo di energia primaria, pari a circa il 6%, da 155 Mtep nel 2016 a 135 Mtep nel 2030. In pratica al 2030 non cambia quasi nulla rispetto al 2016. Si conferma l’uscita dal carbone e le rinnovabili aumentano soltanto dal 18% al 28%. Un +10% tutte incluse le assimilate. Ciò è molto deludente.

Analizzando la composizione futura ipotizzata per il mix energetico al 2030 per la decantata decarbonizzazione, si nota che la quota riservata agli idrocarburi resta di fatto invariata al 32%; un buon 39% viene affidato alla filiera del gas, alle vecchie e famose UHB del GAS; e solo un misero 21% riservato alle rinnovabili, fra cui biogas e biodiesel, con quota parte di fotovoltaico, geotermia, eolico, idrico; un 6% di solidi, ossia rifiuti, rifiuti inceneriti, considerati  comunque “assimilate”, quindi, per loro, rinnovabili. In effetti fino al 2030: 72% Gas & Petrolio + 6% Incenerimento + 2% Biogas & Biodiesel = 80% dell’energia sarà prodotta ancora BRUCIANDO!

Le centrali per la produzione di energia, le auto, i camion e le navi a gas non portano, e non porteranno, benefici climatici e distraggono dall’obiettivo reale: il trasporto e la produzione a zero emissioni. I governi dovrebbero resistere alle pressioni della lobby del gas e del petrolio e smettere di elargire, sprecandolo, denaro pubblico prezioso per la ricerca e il futuro.

Un déjà-vu: il metano ti dà una mano! BUGIARDI! In Italia il primo impulso verso una transizione a mezzo “GAS” vi fu nel ‘29 con la crisi. Fu la politica di autarchia voluta dal regime fascista “volta a creare un’economia di autosufficienza”, in preparazione degli eventi bellici che si andavano delineando, in alternativa al petrolio importato dall’estero. Rafforzata ancora di più con l’avvento della Guerra Mondiale che rese ancora più difficile il recupero di risorse energetiche e costrinse al razionamento della benzina. Vi furono soluzioni insolite, come il “gasogeno” applicato sulla vettura per generare gas.

Negli anni 30’ inizia la storia dell’AGIP e nel 1944 fu scoperto il primo grande giacimento di gas italiano. Contemporaneamente, le Officine Meccaniche Tartarini (OMT) ottimizzarono il sistema. Un provvedimento del 1943 stabilì che “tutti i civili che possedevano una vettura avrebbero ottenuto il foglio di circolazione esclusivamente se installavano il carburatore a metano”.

Con l’avvento del petrolio a basso costo, negli anni ’60, l’era del gas naturale per autotrazione si ridimensionò in fretta. A ridare un po’ di slancio al metano furono le crisi petrolifere del 1973 e del 1978 che fecero balzare in alto i prezzi di benzina e gasolio e, considerato l’embargo del greggio dei Paesi arabi, costrinsero le autorità a imporre le prime domeniche a piedi dovute all’austerità. Un periodo dove si tornarono a convertire auto e ad aprire distributori a gas.

Giunse la scelta del Governo di tassare il gas naturale facendo lievitare il costo al metro cubo da 67 a 200 lire. Altro colpo arriva nel 1983, quando il governo Craxi decise di introdurre il “superbollo” anche per le auto a gas, contraendo ulteriormente il mercato, scelta che condannò il metano a rimanere a lungo una opzione marginale. La rivincita del metano si ha negli anni ’90. A favorirla furono le nuove politiche fiscali, che permisero di mantenere basso il costo alla pompa e gli incentivi all’acquisto promossi per alcuni anni.

Il gas naturale (se ne era certi all’epoca) offriva indubbi vantaggi grazie alle sue caratteristiche chimiche che consentono di ridurre le emissioni rispetto a un modello a benzina o diesel. Ma questo ad oggi è stato dimostrato non vero! Gli studi recenti indicano che il particolato prodotto dalla combustione del metano è, come massa, inferiore a quello prodotto dal gasolio, ma le particelle ‘NOX’ sono in numero superiore e più piccole, quindi potenzialmente più pericolose per la salute.

E proprio oggi in tutta Europa si riparla di TRANSIZIONE, una transizione lunga trent’anni, proprio con il gas, ma questa volta con l’aggiunta del GAS-BIO ossia biogas da rifiuti digestati e da bioingegnerie anch’esse da digestare.

Il metano non è pulito. Basta tener conto che alla sua sola estrazione e al suo convogliamento le perdite sono pari al 3% del totale e vanno direttamente in atmosfera. Anche se a parità di energia prodotta è responsabile di emissioni di CO2 inferiori (del 24%) rispetto a benzina e gasolio, è di per sé e resta un gas serra. In perfetta sintonia con il governo precedente, questo governo vuol fare dell’Italia un Hub del gas, un piano in cui la realizzazione del TAP non è mera rassegnazione per non pagare penali, ma opera necessaria per essere un Hub.

Non dimentichiamo che l’Eni, la multinazionale controllata dallo Stato italiano, sta investendo nelle raffinerie di biogas, come a Gela. Ricordiamo che Eni e Coldiretti hanno sottoscritto un accordo di collaborazione con l’obiettivo di sviluppare nel settore trasporti la filiera nazionale del biometano avanzato, prodotto da rifiuti, valorizzando gli scarti e sottoprodotti ottenuti dall’agricoltura e dagli allevamenti. Il protocollo d’intesa è stato firmato a Lodi. L’obiettivo, spiegano, è la creazione della prima rete di rifornimento per il biometano agricolo “dal campo alla pompa per raggiungere una produzione di 8 miliardi di mc di gas “verde” entro il 2030 e aiutare l’ambiente. Il biometano di cui parla il Piano non sarà ottenuto solo da scarti e rifiuti, ma dallo “sviluppo di una filiera agricolo/industriale per la produzione di biometano sia da matrice agricola, sia da rifiuti” come chiarisce SNAM.

Più in generale, le compagnie petrolifere, non avendo interesse nel carbone, sono d’accordo per la progressiva sostituzione delle centrali termoelettriche a carbone con centrali turbogas a metano, vedendo in questa trasformazione non solo un interesse economico, ma per la seconda volta una grandissima speculazione!

Correva l’anno 2013, ricordo benissimo la questione della riconversione a carbone pulito della centrale A2A di Monfalcone. Ricordo indelebile. Una interrogazione a risposta scritta di dieci parlamentari al Senato del Movimento 5 Stelle che si scagliano contro la scelta di A2A di riconvertire la centrale al cosiddetto “carbone pulito”. “Il carbone pulito è una operazione di marketing della lobby carbonifera” denunciano i firmatari Battista, Blundo, Cappelletti, De Pietro, De Pin, Gaetti, Orellana, Pepe, Simeoni e Taverna. Cosa diranno ora della futura riconversione da carbone a gas?

Da notare ancora che il biodiesel italiano è in larga misura fatto con olio di palma importato dai paesi equatoriali. Lo si legge proprio nel Piano del governo: il 50% del biocarburante distribuito in Italia nel 2017 è fatto con materia prima proveniente dall’Indonesia. Quindi deforestare altrove e trasportarlo per migliaia di Km, “Ma ciò è sostenibile”?

Sui biocarburanti il discorso è molto delicato perché tocca grandi interessi economici e molti incentivi. Le conclusioni degli esperti consultati da Transport & Environment, sono chiare: il metano per i trasporti è solo un’arma di distrazione di massainventata dai produttori di gas naturale e appoggiata da alcuni governi, italiano in testa, per avere uno sbocco al prevedibile surplusche si determinerà in futuro, visto che il suo uso per la produzione elettrica dovrà essere via via abbandonato nei prossimi decenni.

Quello che non venderanno più alle utilities, sperano insomma di venderlo agli automobilisti. Ma tutto ciò, concludono a Transport & Environment, a fronte di miglioramenti marginali o nulli, ci farebbe invece sprecare tempo e risorse da usare per la vera transizione energetica basata sui veicoli elettrici a batteria o a idrogeno, che di emissioni e di inquinamento ne producono già da oggi zero, sempre che siano riforniti con elettricità rinnovabile