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ISIN: radioattività ambientale in Italia

by Redazione
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“Ma radioattività non è solo centrali nucleari e bombe atomiche. Fin dall’origine della terra, 4.5 miliardi di anni fa, radiazioni ed elementi radioattivi naturali sono presenti ovunque, finanche all’interno del nostro corpo; anzi, in assenza di incidenti, proprio la radioattività naturale (raggi cosmici, radiazione terrestre, radon) è la maggior fonte di esposizione per la popolazione”.

A scriverlo è Maurizio Pernice, Direttore dell’ISIN – l’Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione, in premessa al Rapporto su “La sorveglianza della radioattività ambientale in Italia”, recentemente pubblicato.

Il Rapporto fornisce un’elaborazione e una rappresentazione dei dati nazionali prodotti nel 2018. Contiene anche uno specifico capitolo sul radon indoor e due focus: sul rutenio 106 nel particolato atmosferico e sulle variazioni di origine naturale del fondo ambientale.

Il sistema di controllo nazionale è articolato in una rete di sorveglianza (RESORAD) e in una rete di allarme (GAMMA), oltre a quella, autonoma, del Ministero dell’interno. Poi vi sono le Reti Regionali e quelle di sorveglianza sugli impianti nucleari (in decommissioning).

L’analisi dei dati si riferisce ad una serie di matrici: particolato atmosferico; deposizione al suolo; rateo di dose gamma in aria; acque superficiali; acque potabili; latte; pasto completo ed altre componenti alimentari; alimenti per il consumo animale; altre matrici rilevanti.

Ma noi cominciamo dal radon. Il radon rappresenta la seconda causa di tumore ai polmoni dopo il fumo. Si tratta di un gas naturale che si trova nelle rocce, nei suoli e nei materiali da costruzione che ne derivano. Ergo, entra e si diffonde negli edifici (radon indoor). Ma la sua presenza dipende anche dalla geologia del territorio, dall’acqua e da altri fattori.

In Italia i valori medi di concentrazione sono superiori a quelli europei e mondiali. In particolare nel Lazio, Lombardia, Friuli-Venezia Giulia e Campania. Nonostante i dati risalgano a oltre venti anni fa, le stime sono tuttora assunte come riferimento. Anche se alcuni fattori, come ad esempio le politiche per l’efficienza energetica degli immobili che, limitando le dispersioni di calore, possono tendere ad aumentare le concentrazioni di radon indoor, inducono a considerare l’esigenza di un approfondimento.

Questa dell’efficientamento energetico che aumenta la concentrazione di radon indoor, è emblematica della dilagante (interessata?) superficialità con la quale vengono spesso affrontate le questioni ambientali. Ma è una nostra considerazione e lascia il tempo che trova.

Un’altra notazione interessante è quella relativa alle misurazioni di radon effettuate dalle Agenzie regionali per l’ambiente. In Campania, che è la seconda regione d’Italia per numero di abitanti, sono state misurate 786 abitazioni contro, ad esempio, le 4.426 del Friuli-Venezia Giulia o le 823 della Valle d’Aosta (!?). E quante scuole risultano misurate in Campania? Zero. Quanti luoghi di lavoro? Zero. Il Rapporto contiene anche i dati relativi alla concentrazione media di radon per Comune, e sono molto interessanti.

Veniamo al rutenio. “La presenza di rutenio nel particolato atmosferico è stata rilevata in Italia come nel resto d’Europa tra la fine di settembre e i primi giorni di ottobre 2017”. E, successivamente, anche al suolo. Le concentrazioni rilevate sono state comunque dichiarate, dagli organismi internazionali, di nessuna rilevanza radiologica. Tra questi, l’IRSN francese ha stimato che il rilascio di Ru-106 fosse avvenuto in una regione tra il Volga e gli Urali, tra il 25 e il 28 settembre, con una durata non superiore alle 24 h. E’ stato quindi auspicato l’impegno, da parte di tutti i Paesi, a notificare prontamente anche quegli eventi per i quali non si prevede un rilascio transfrontaliero radiologicamente significativo.

Quanto al Cs-137, dai dati sulla concentrazione media nel particolato atmosferico, è possibile osservare due picchi di contaminazione. In occasione dell’arrivo in Italia della “nube di Chernobyl” (aprile 1986) e quello dovuto a un incidente del giugno 1998 in una fonderia spagnola presso Algeciras. Ma negli ultimi anni si riscontra una sostanziale stazionarietà dei livelli misurati, che sono ben al di sotto del Reporting Levels. Nessuna traccia apprezzabile, nel 2011, dell’incidente di Fukushima. Nota: al Sud il numero delle località di prelievo è addirittura esiguo rispetto al Centro e al Nord.

I valori annuali della deposizione al suolo sono inferiori ai valori delle minime concentrazioni rilevabili. Vengono evidenziate le ricadute associate ai test in atmosfera condotti negli anni ’60 e all’incidente di Chernobyl. Da allora i valori presentano, inizialmente, una sistematica diminuzione e, successivamente, una sostanziale stazionarietà variabile in funzione del meteo.

La maggior parte delle medie annuali relative alle acque superficiali (ma la copertura dei mari risulta non completa) è ben al di sotto del Reporting Level. Lo stesso vale per le acque potabili, ma va detto che le misurazioni al Sud (tanto per cambiare) sono carenti. I dati relativi a tutte le matrici alimentari risentono di una forte disomogeneità territoriale nella misurazione.