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L’Ospedale del Mare tra sanità e riqualificazione urbana

by Antonio De Prosperis
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L’Ospedale del Mare, megastruttura sanitaria (14 kmq, 500 posti-letto, per una spesa a termine di 365,5 mln di euro) rappresenta una novità per Napoli aldilà della sua funzione specifica.

I Napoletani, non abituati a novità edilizie proiettate nel futuro, ci girano intorno con sorpresa mista a diffidenza e concludono con scaramantico scetticismo: “chissà se finirà mai…”. D’altronde è lo stesso atteggiamento che la gente di Napoli ebbe rispetto al Centro Direzionale di Kenzo Tange o alla Tangenziale dell’allora Sindaco Milanesi. Novità troppo grandi per chi è abituato/rassegnato a che Napoli sia il mare, il Vesuvio e quattro colline.

L’Ospedale del Mare, progettato dallo studio IaN+ di Roma, nasce nel 2006 per rappresentare il fiore all’occhiello della Sanità campana, al punto che gli viene tributata la “mission” di conglobare quattro nosocomi storici di Napoli: l’Ascalesi, gli Incurabili, il Loreto Mare e il San Gennaro.

La nuova struttura ospedaliera esprime il concetto moderno di ospedale per monoblocchi, la cui sintesi è “una causa per ogni malattia, una terapia per ogni causa, una sede per ogni causa” che significa voler prendere in carico il malato nella sua globalità.

Consiste di una hall circolare rivestita di smaglianti pannelli in vetrocemento, il poliambulatorio e l’ospedale (raccordati da triplice struttura ad albero) e poi, dislocati, uffici, impianti, un albergo per low-care ed al centro l’eliporto (funzionante), oltre a parcheggi per complessive 1300 auto.

La costruzione garantisce massima tenuta tellurica grazie ad isolatori sismici che disaccoppiano l’edificio dal terreno ed è prossima alle vie di fuga programmate in caso di eruzione vulcanica.

I fondi reperiti sono stati tutti “autoctoni”: legge finanziaria del 1988, Piano straordinario di interventi in Sanità del 1988, Fondi per la radioterapia del 1988, Fondi per le Aree Sottoutilizzate del 2012, risorse residue del Fondo per lo Sviluppo e la Coesione, proventi del bilancio dell’ASL NA1 Centro.

Le attività contemplate sono: un pronto soccorso di II livello che accoglie cioè i pazienti stabilizzati dal Loreto Mare, dal Pellegrini, dal San Paolo e dal San Giovanni Bosco; un plesso di Scienze Neurologiche di II livello (il I livello è rappresentato dal ritrovato CTO); uno Stone Center per la calcolosi renale; un Centro Trauma di alta specializzazione (punto di riferimento per tutta la Regione); una Neonatologia con Terapia Intensiva Neonatale; una Cardiologia di I livello (per ora l’Unità coronarica è al Loreto Mare); oltre a svariati poliambulatori.

I lavori iniziati nel 2006 sono stati fermi dal 2009 al 2012 per criticità amministrative, progettuali e finanziarie risolte dalla Giunta Caldoro nel 2013 grazie ad un piano di rientro dal debito sanitario, costato in termini di riduzione dei posti-letto “al disotto della domanda”, nonché blocco del turnover cioè delle assunzioni. Un programma insomma di “lacrime e sangue” ma che proprio come per Churchill “ha garantito la vittoria finale”: il risanamento del deficit sanitario. E si consideri che la Sanità pesa per il 60% sul bilancio della Regione.

I lavori per ultimare l’Ospedale si sono felicemente conclusi nel 2016.

Quel che latita ancora è la pianta organica. Necessitano esattamente 3800 assunzioni tra medici e tecnici, problema che le pastoie burocratiche rallentano all’inverosimile, anche se l’opposizione parla di lungaggini interessate.

Il Presidente De Luca assicura comunque che il cronoprogramma verrà rispettato, mantenendo peraltro la Sanità campana economicamente in pari grazie al recupero di 170 mln di euro legati all’edilizia ospedaliera e 900 mln di premialità.

Insomma, l’Ospedale del Mare è un gioiello che lentamente, ma concretamente sta prendendo forma sotto gli occhi stupiti dei Napoletani.

A tal proposito non va dimenticata la seconda, ma non secondaria funzione di un Ospedale che vuole essere volano di riqualificazione del territorio su cui insiste, una terra che un tempo era la pendice ridente del Vesuvio, quella delle albicocche d’oro (dette appunto “crisommole”) e dell’uva catalana del Monte Somma, fatta importare da Alfonso d’Aragona e vinificata (fino a pochi anni fa) nelle “corti” cinquecentesche di Barra (così detta perché qui era collocata la barra della dogana).

Ridare dignità alla banlieu di Ponticelli passa infine anche attraverso scelte di coraggio: i pannelli della “hall”, simbolo iconografico dell’Ospedale del Mare, nella loro veste cangiante, non sono stati volutamente soggetti ad interventi anti-danneggiamento. Anche questo è un segnale di ottimismo per una Napoli che voglia cambiare, smentendo un luogo comune, fra i più deteriori, della Città: il vandalismo.

Per dar vita ad una speranza, con l’augurio che si tramuti in certezza.

di Antonio De Prosperis